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Servizi segreti e imprese. Ecco come tutelare l’interesse nazionale (economico)

Di Andrea Melegari

“Si vis pacem, para bellum”, cioè “chi aspira alla pace, prepari la guerra”. È proprio per questo che partire dall’assunto che solo i governi sono coinvolti nella guerra ibrida è un errore che può costare molto caro al Ceo di qualsiasi azienda. Nel senso più ampio del termine, infatti, entrare in una guerra ibrida significa partecipare a un conflitto in cui vengono sapientemente combinate tattiche e strategie (convenzionali e non convenzionali) con tecnologie innovative, ma sempre restando sotto la soglia del concetto tradizionale di guerra. Come confermano le recenti cronache, sfruttando mezzi e capacità informatiche si può destabilizzare un governo nemico senza attaccarlo militarmente, ma arrivando a influenzare pesantemente anche l’opinione pubblica dei suoi cittadini, fino a condizionarne addirittura le scelte di voto.

Nella valutazione di un Ceo, però, un altro aspetto va tenuto in grandissima considerazione: si può fare guerra ibrida anche senza disporre di grandi risorse finanziarie. Ad esempio, le nuove tecnologie di intelligenza artificiale (integrate con la potenza di calcolo facilmente noleggiabile dal cloud) rendono già oggi molto più facile manipolare foto, aggiungendo persone e oggetti a immagini già esistenti, o creare deep fake, cioè video in cui inserire a proprio piacimento persone e dialoghi con voci originali. È facile immaginare, ad esempio, quali conseguenze può causare un deep fake in cui (un falso) Donald Trump annuncia (con voce perfettamente clonata) di aver appena lanciato un attacco nucleare contro la Corea del Nord. Generalmente la fiducia riposta in un video è molto elevata: se qualcosa si può vedere, allora è facile credere che esista veramente. Se poi il video viene consigliato da un amico oppure ottiene mille like, il suo grado di attendibilità cresce. Che sia fake o deep fake, spesso viene svelato dopo e comunque conta poco.

Inutile insistere poi sugli effetti di un cyber attack, come quello subìto dalla città di Baltimora. Un gruppo di cyber-criminali ha messo in ginocchio una città di oltre 600mila abitanti utilizzando Eternal Blue, un malware sviluppato dalla National security agency e sfuggito alla sua custodia, così da divenire in breve tempo disponibile online per chiunque. Finora le principali potenze militari mondiali hanno dimostrato scarsa capacità di rispondere efficacemente alle azioni cyber dei loro nemici che, al contrario, spesso hanno avuto facile vittoria.

Come potrebbe allora reagire un’azienda coinvolta in una guerra ibrida? Occorre sgombrare subito il campo da ogni dubbio: se l’azione di guerra ibrida è ben congegnata, anche le multinazionali più organizzate rischiano di subire un brutto colpo. La prontezza e il tempismo sono fattori decisivi in ogni scontro: aggredire il nemico di sorpresa garantisce quasi sempre la vittoria. Lo compresero gli achei che conquistarono Troia e, oggi, lo sanno perfettamente gli esperti della guerra ibrida.

Nella lingua inglese esiste il concetto di horizon scanning che ben si presta a rappresentare l’obiettivo a cui devono tendere le aziende, almeno quelle più consapevoli della necessità di “prepararsi alla guerra”. Significa, in pratica, implementare un sistema in grado di esaminare miliardi di dati in modo sistematico, con l’obiettivo di identificare tempestivamente potenziali minacce, rischi, problemi emergenti, situazioni critiche, ma anche opportunità di business.

Un sistema che, considerati gli enormi volumi di dati oggi disponibili, non può che contare sulle nuove tecnologie di Aaa (un acronimo di Artificial intelligence, augmentation and automation). Compreso cosa può fare (ma soprattutto cosa non può fare) l’intelligenza artificiale, già oggi è possibile implementare, a costi relativamente contenuti, sistemi di horizon scanning in grado di processare silos di dati interni e combinarli con le fonti aperte (web, social, stampa cartacea, ecc.), così da arrivare a suggerire raccomandazioni tattiche e strategiche. Con precisione e senza stancarsi mai. Se le tecnologie Aaa potessero gestire il 75% delle attività normalmente svolte a mano, il personale potrebbe focalizzarsi sull’analisi dei problemi più complessi. Quel 25% di attività rimanente che ancora richiede la capacità unica ed esclusiva del cervello umano e non riproducibile, almeno per molti anni, da nessun algoritmo di intelligenza artificiale.

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