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Perché la sicurezza è Nazionale. Parla l’amb. Massolo

Di Giampiero Massolo

Il rallentamento della globalizzazione porta al riaffacciarsi del criterio dell’interesse nazionale come parametro di azione prioritario degli Stati nazionali: comportarsi seguendo i propri interessi non è una novità, ovviamente, ma più inedito è farlo così apertamente, quasi ostentatamente dopo aver passato decenni a tessere le lodi del multilateralismo e della mondializzazione. Sul piano securitario, è lecito interrogarsi, tuttavia, se il prevalere degli intenti dei singoli Stati possa eventualmente incidere sulla loro collaborazione e avere conseguenze segnatamente per la tutela della sicurezza del nostro continente.

Insomma, in un’epoca di maggiore attenzione alle dimensioni nazionali rischiamo davvero di affievolire la dimensione europea della sicurezza e, per ciò stesso, la nostra sicurezza nazionale? La risposta non può che essere negativa. Innanzitutto, perché nel settore della sicurezza nazionale, della ricerca, dell’elaborazione e dello scambio a tal fine di notizie, dell’intelligence insomma, “condividere” è assai diverso da “integrare”.

Condividere e scambiarsi notizie è attività ampiamente in uso tra i diversi Servizi nazionali preposti alla ricerca di informazioni che tutelino la sicurezza nazionale. L’ambito e la portata di questi scambi sono andati, specie negli ultimi anni, estendendosi diffusamente, anche per la necessità di fronteggiare le minacce del terrorismo islamico e sono sicuramente suscettibili di nuovi e più estesi sviluppi.

La sfida odierna è proprio quella di intensificare e rendere sempre più capillare lo scambio di informazioni, di trarre elementi utili dalla messe dei dati a nostra disposizione, sia che si tratti di fonti aperte, sia che si tratti di fonti confidenziali.

Speciale rilievo acquisisce poi la messa a fattor comune delle informazioni raccolte e scambiate: è questo il passaggio che accresce il valore della condivisione. Fatto a livello europeo o comunque tra Paesi alleati e like-minded aggiunge valore determinante all’intero esercizio. Cosa molto diversa è invece la creazione di entità integrate di intelligence. Quest’ultima postula il presupposto – fallace – che esista già una politica europea comune in materia di sicurezza e di promozione dell’interesse europeo: quest’obiettivo sembra ancora fuori portata e gli Stati uniti d’Europa non sono alle viste.

Conseguentemente, l’attività di ricerca di notizie attinenti la sicurezza è tuttora così intrinsecamente connessa alla sfera sovrana dei singoli Stati membri, che ben difficilmente ci possiamo aspettare una sua messa in comune in nome di un interesse europeo sovranazionale, che in questo, come in altri campi, stenta a manifestarsi.

L’integrazione dei servizi di intelligence trova, dunque, il proprio limite nella sovranità nazionale e soprattutto nella fase ancora relativamente arretrata del processo d’integrazione europea. Se, quindi, va realisticamente concluso che un’intelligence europea non è imminente, altrettanto pragmaticamente va constatato che la mancata integrazione delle intelligence non comporta un impatto negativo sulla tutela della sicurezza.

Il problema, infatti, ancora una volta, non sta nel ricercare insieme gli elementi informativi, ma nel condividere quanto in proprio possesso, conferendogli il massimo valore aggiunto possibile. Le acquisizioni informative su diversi teatri geopolitici sono preziosa merce di scambio e una loro condivisione intelligente può promuovere un maggior grado di compatibilità fra le “linee rosse” dei rispettivi Stati nazionali e una mitigazione delle divergenze. D’altra parte, il contrasto alle minacce propriamente asimmetriche è permeato da una logica altamente competitiva, come dimostrato dal settore economico-finanziario, nel quale la tutela degli assetti strategici di ciascuno complica, anziché promuovere, l’armonizzazione dei rispettivi interessi.

Insomma, “condivisione” è alla luce dei fatti, e non di idealistiche aspettative, la parola-chiave, la formula che oggi più che mai integra l’essenza della difesa dell’interesse nazionale e di quello europeo. E l’intelligence è, in ultima analisi, l’arte di trarre il maggior vantaggio dalle situazioni come esse sono e non come si vorrebbe che fossero. Anche nell’Unione europea, almeno per ora e – stiamone certi – senza vulnerare la nostra sicurezza collettiva.

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