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Tempest, F35 ed export. Le priorità di Guerini secondo Gaiani

Tempest, F-35 e accordi g2g per l’export militare. In poco tempo, il neo ministro Lorenzo Guerini avrà la possibilità di far capire la tendenza del governo giallorosso nel campo della Difesa. Certo, molto dipenderà dall’attenzione dell’esecutivo nel suo complesso, con tante sfide all’orizzonte, dalla Difesa europea alle missioni internazionali, e un’unica grande prova: il rilancio degli investimenti per il settore. È il punto sulla politica di Difesa del Conte 2 di Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, grande conoscitore del comparto e già consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno con Matteo Salvini. Le priorità riguardano i dossier in scadenza, ma nel lungo periodo si avverte l’esigenza di una programmazione precisa e finanziariamente ben sostenuta. Per tutto questo, Lorenzo Guerini “ha il profilo giusto”.

Direttore, quale è secondo lei la priorità del nuovo ministro della Difesa?

È prevista tra oggi e domani, durante la fiera Dse di Londra, la conferma dell’adesione dell’Italia al programma Tempest. Aspetto di vederla, ma al di là delle valutazioni politiche, la scelta mi sembra obbligata, anche solo considerando il coinvolgimento nel progetto di Leonardo come azienda in Gran Bretagna. Tra l’altro, proprio il ruolo di Leonardo ci dà la possibilità di partecipare allo sviluppo del velivolo, rispetto al progetto franco-tedesco (Fcas) per cui potremmo entrare come cliente o, al massimo, come produttore di ferraglie realizzando parti di basso livello tecnologico e di know how. L’adesione al Tempest è questione di ore e da essa partirà il lavoro di Guerini. Sul resto, molto dipenderà dall’approccio del governo nel suo complesso alla Difesa.

Che segnali ha avuto in tal senso?

Già con il precedente esecutivo, Conte non ha dimostrato grande sensibilità per i temi del settore. Tutti ricordano la frase “rinunceremo a cinque fucili per sostenere una borsa di studio per la pace”, sintomo di un pacifismo un po’ da oratorio che non depone a favore della consapevolezza del ruolo della Difesa. Il ministro Guerini, come accaduto ai suoi predecessori, potrà fare o non fare in base a quanta sensibilità il governo avrà per l’ambiente della Difesa. Lo ha dimostrato Roberta Pinotti, che considero essere stata un ottimo ministro. Con Renzi, del tutto disinteressato a questi temi, si è ritrovata a subire tagli importanti al bilancio. Con Gentiloni, che aveva una sensibilità maggiore, poté fare molte più cose.

Nel programma di governo giallorosso non ci sono riferimenti alla Difesa se non per la valorizzazione del personale. Come legge tale assenza?

Vuol dire che alle forze politiche non interessa la Difesa. In particolare al M5S, se non come bacino elettorale da riscaldare portando avanti la sindacalizzazione delle Forze armate. Personalmente, non vedo interesse per la Difesa da nessuna delle due forze di governo. Il programma è pieno di aria fritta, e così anche per la Difesa. In ogni caso, una valutazione si potrà fare solo più avanti. Si vedrà l’attenzione del governo dai finanziamenti per il comparto, se il prossimo bilancio della Difesa conterrà iniezioni di risorse o miglioramenti. Alcuni segnali arriveranno ancora prima, a partire dagli F-35.

Ci spieghi meglio.

Gli F-35 sono già previsti dagli ultimi programmi di produzione in pre-serie, e certamente non possiamo continuare a tergiversare o addirittura a non pagare gli arretrati. Se già Guerini riuscirà a sbloccare questo dossier, che la Trenta aveva rimandato a Conte, sarebbe un importante segnale di attenzione che non c’era con la precedente amministrazione. Per ora, dovremmo guardare a questi piccoli segnali (che poi tanto piccoli non sono) per avere un’idea della tendenza che il governo avrà nel campo della Difesa. C’è anche la questione degli accordi g2g che riguardano l’export di armamenti, su cui, anche con il governo precedente, i 5 Stelle avevano posto valutazioni di tipo morale. Tra Tempest, F-35 e g2g, se ci sarà un’iniziativa in tempi brevi, potremmo avere indizi più precisi sulla politica di Difesa. In più, sempre parlando di rapporti con i britannici, sarebbe il momento di programmare in maniera definitiva il programma Camm-Er per la difesa aerea.

È un’urgenza?

Direi di sì. Il finanziamento del programma Camm-Er è arrivato in extremis con appena un milione per quest’anno. Sono da sbloccare gli altri investimenti. Si tratta di un missile che serve a dotarci di una difesa aerea ormai inesistente, ma anche di un progetto che ci potrà offrire un grande ritorno di export con gli inglesi. Il sistema ha ottime prestazioni e un mercato molto vasto. È un dossier da sbloccare in fretta programmando a lungo termine per un spesa complessiva di poco più di mezzo miliardo fino al 2031. È una cosa di cui non si parla mai è molto importante, anche per tenere la componente italiana di Mbda al pari delle altre in un momento in cui si parla molto di Difesa europea.

A proposito, da Bruxelles sta arrivando il nuovo Fondo europeo per la Difesa con ben 13 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Che sfida è per l’Italia?

Personalmente, non credo molto al progetto della Difesa europea in termini strategici. Non ho fiducia in un’Europa unita in prospettiva militare, anche perché nessun Paese europeo è disposto a dispiegamenti o al rischio di perdite di vite umane. Inoltre, su tanti fronti non abbiamo nulla da dire come Ue. Lo ha dimostrato la risposta al dietrofront di Trump sui negoziati per l’Afghanistan, affidata a una portavoce che, in tre righe, ha replicato alla domanda di un giornalista. Eppure, dal punto di vista industriale, la Difesa europea è un’opportunità per le aziende italiane (non solo le grandi, ma anche le Pmi) per attingere a un polmone di fondi importanti da utilizzare per attività di ricerca e sviluppo che certamente non potrebbero essere sostenute nell’ambito di fondi nazionali. In definitiva, a livello geopolitico continuo a considerare di poco senso la Difesa europea, poiché una politica estera europea non esiste e non può esistere una forza armata comune. Sul piano finanziario, l’opportunità va colta.

Ciò passa però anche dal rapporto con la Francia, che sul tema ha manifestato ambizioni rilevanti…

Con la Francia dovremmo sicuramente ragionare per trovare intese su tutti i piani. Anche se i francesi faticano a riconoscerlo, abbiamo gli stessi problemi, dall’invasione di immigrati irregolari alla pressione industriale tedesca. Problemi che ci saranno anche senza Macron, che da parte sua non ha fatto molto per risultare simpatico. In ogni caso, il nostro approccio deve essere da pari potenza, o almeno da terza potenza europea. Se sarà di sudditanza, come mi pare già intravedere dai prodromi di questo governo, continueremo a vedere donazioni in massa di legion d’onore a chi difende interessi non italiani. Deve essere un rapporto basato su pari dignità. Con gli endorsement ricevuti dal nuovo esecutivo ancor prima che nascesse, non ho avuto l’impressione che potremmo procedere in tal senso. Gli apprezzamenti che sono arrivati per identificare gli “amici”, come a dire che prima c’erano i “cattivi”, testimoniano un approccio da potenza occupante che dobbiamo scrollarci di dosso. Anche l’improvvisa generosità dell’Ue quando, fino a due ore prima, ci diceva che avevamo vincoli più stretti, dimostra che ritiene di poter avere maggior influenza sul governo, e dunque che la limitazione dei nostri interessi sarà maggiore. Comunque, l’esecutivo ha appena ottenuto la fiducia alla Camera; diamogli tempo.

E per quanto riguarda l’asse franco-tedesco, evidente ad esempio proprio sul caccia di sesta generazione?

Francesi e tedeschi sono alle prese con un sacco di guai. Hanno intese industriali per caccia, elicotteri, carri armati e artiglieria, ma presentano approcci politici differenti, ad esempio sul fronte dell’export. È un problema che abbiamo anche noi. L’Europa si approccia all’export militare in maniera piuttosto superficiale, con quello che definisco “pacifismo da casa del popolo”. Se non si vogliono presidiare le aree calde del globo, basta dirlo chiaramente. A quel punto saranno altri a sporcarsi le mani, e noi di certo non potremmo sgridarli. L’asse franco-tedesco per ora regge sul piano industriale, ma su quello politico ha iniziato a scricchiolare subito dopo la firma dell’accordo di Aquisgrana.

Guerini dovrà poi affrontare il nodo delle missioni internazionali, a partire dall’Afghanistan. Intravede una linea di continuità rispetto ai pacchetti di autorizzazione degli anni precedenti?

Sì, anche perché le missioni della Trenta erano esattamente quelle della Pinotti. Il problema non è del tipo di governo, ma di una politica che considera la Difesa un problema da gestire e che lo fa gestire sempre in ottica di alleanza. Ciò si traduce in missioni per nulla incisive, che non rappresentano gli interessi nazionali o che non sono sostenuti da una loro corretta lettura.

Sembrerebbe più che altro un problema di politica estera.

Esatto. Pensare a una politica militare sulle missioni senza una politica estera che stabilisca dove andare, perché farlo e sulla base di quali interessi, si trasforma in impegni all’estero di scarso ritorno in termini di peso internazionali. La missione in Libano è importante, ma quali ritorni ci ha dato in termini di rilevanza nella regione o di export? Secondo me, nessuno. Siamo in Afghanistan per gli interessi americani, senza alcuna influenza sulla crisi in corso nell’Asia centrale. Sarebbe invece auspicabile una politica militare su Mediterraneo e Libia, che però specifichi chi vogliamo sostenere e come vogliamo farlo. Nel governo precedente, le uniche iniziative concrete per la Libia sono state prese dal ministero dell’Interno, e ciò succedeva anche prima con Minniti. In Niger abbiamo circa 140 unità che fanno addestramento, ma non abbiamo ottenuto ciò che ci interessava, ovvero il controllo della frontiera con la Libia dove invece apriranno una base gli Emirati Arabi, riusciti ad avere un peso maggiore di quello che abbiamo ottenuto noi dopo due anni di tira e molla. I militari servono, ma sono solo uno strumento di politica estera.

Lorenzo Guerini ha il profilo giusto per affrontare tutte queste sfide?

Venendo dal Copasir, direi di sì, anche se parte in svantaggio, essendo membro di un governo nato in due settimane e che ancora non ha ben capito dove vuole andare. A ciò si contrappone però un grande vantaggio. Gli basterebbe sbloccare un po’ di dossier lasciati dormienti dalla precedente amministrazione per fare un’ottima figura.

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