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Messaggio di Trump a Russia e Cina: non ratificheremo il trattato sulle armi

“Gli Stati Uniti non ratificheranno mai il trattato delle Nazioni Unite sulle armi”. Così ha tuonato dal palco dell’Assemblea generale della Nazioni Unite il presidente americano Donald Trump, sorprendendo in realtà solo i meno attenti. A ben vedere, infatti, il tycoon aveva annunciato da tempo che non avrebbe permesso la ratifica dell’Arms Trade Treaty (Att), siglato da Barack Obama nel 2013 e finalizzato a regolamentare il commercio internazionale sugli armamenti convenzionali. Per Trump, si tratta piuttosto di una promessa mantenuta, fatta lo scorso aprile alla lobby Usa delle armi Nra durante il suo vertice annuale a Indianapolis. A ciò si aggiunge un messaggio ai competitor, Russia e Cina, che il trattato Att non lo hanno nemmeno firmato.

IL TRATTATO…

Con la soddisfazione dell’allora segretario generale Ban Ki-moon, dopo circa un anno di negoziati non privi di difficoltà, il trattato fu adottato dall’Assemblea generale dell’Onu nel 2013. Con 154 voti a favore, si registrarono 23 astensioni e tre voti contrari, quelli di Iran, Corea del nord e Siria. Il trattato è dunque entrato in vigore a dicembre del 2014, e oggi risulta firmato da 130 Paesi e ratificato da 104, tra cui tutti i Paesi membri dell’Unione europea. Non figurano tra i firmatari Cina, Russia, Corea del nord e Iran, ovvero coloro che gli Stati Uniti hanno certificato quali primi avversari nei vari confronti, globali e regionali, in tutti i documenti strategici elaborati dall’amministrazione Trump.

…E I SUOI OBBLICHI DEL TRATTATO

In sintesi, l’Att richiede agli Stati membri di monitorare le esportazioni di armamenti convenzionali e ad assicurare che non superino embarghi e che non siano diretti a Paesi complici di abusi sui diritti umani, incluso il terrorismo. Si prevede l’assistenza delle Nazioni Unite agli Stati-parte nella creazione di un sistema regolatorio “efficace e standardizzato”, così come la tracciabilità delle destinazioni d’export. Ogni Paese si impegna a elaborare un proprio sistema di controllo, corredato da una lista di movimenti da condividere poi al segretariato che la renderà pubblica agli altri Stati-parte. L’obiettivo, citato dall’articolo 1 del trattato, è duplica: “Stabilire standard internazionali comuni il più possibile elevati per regolamentare, o aumentare la regolazione, del commercio internazionale di armi convenzionali; prevenire e sradicare il traffico illecito di armi convenzionali e la loro diversione”.

LE CRITICHE DELLA NRA

Tra gli oppositori tradizionali al Trattato c’è l’Nra americana. Più che sul commercio internazionale, le critiche della lobby a stelle e strisce hanno riguardato il tema della registrazione “dell’uso finale o della documentazione dell’utente finale” che il Paese importatore deve fornire a chi esporta. Per l’Nra, ciò si tradurrebbe nella creazione di “un registro dei legittimi proprietari di armi, e dunque in una violazione delle legge federale”. Inoltre, “ciò potrebbe essere interpretato in modo da richiedere che tale registro sia reso disponibile ad altri Paesi”. Questo, come rilanciato da Trump all’Assemblea generale dell’Onu, sarebbe in contrasto con il secondo emendamento della Costituzione americana, il quale sancisce il diritto dei cittadini di detenere e portare armi da fuoco.

LE QUESTIONI STRATEGICHE

Tali dinamiche interne agli Usa si sommano alle questioni strategiche internazionali. La recente uscita degli Stati Uniti dall’Inf Treaty sui missili nucleari a raggio intermedio è stata descritta dagli esperti come una risposta inevitabile alle violazioni russe dello stesso trattato, ma anche come un modo per evitare di restare vincolati a obblighi che non toccano la Cina, tutt’altro che inerme nello sviluppo di nuovi sistemi missilistici. L’impressione, anche in questo caso, è che Trump non ci stia a vincolarsi a un trattato internazionali che le altre potenze internazionali non hanno nemmeno firmato. Se a ciò si aggiungono le preoccupazioni per l’attivismo di Cina e Russia nell’export di armamenti verso regioni strategiche (a partire dal Medio Oriente), con l’S-400 alla Turchia quale esempio più evidente, ecco spiegate le perplessità di diversi strateghi americani. Quello di Trump a New York non è stato un colpo a sorpresa, ma piuttosto l’occasione di segnare un altro punto nella sua corsa verso le presidenziali del prossimo anno e di mandare un altro messaggio a Pechino e Mosca.

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