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Presidenziali tunisine, il termometro politico del paese tra novità e astensione

Di Francesco Salesio Schiavi

In attesa dei risultati ufficiali e basandosi sui dati sinora rilasciati dalla Commissione superiore indipendente per le elezioni (Isie), quello che emerge dal primo turno delle elezioni presidenziali in Tunisia sono una vistosa diminuzione dell’affluenza alle urne e la chiara affermazione dei candidati indipendenti su quelli appartenenti ai partiti tradizionali. Basandoci sui dati di ieri sera, l’agenzia Isie ha confermato in testa i concorrenti indipendenti Kaïs Saïed e Nabil Karoui, rispettivamente con il 18,8 e il 15,5%, seguiti in terza posizione dal candidato del partito islamista moderato Ennahda, Abdelfattah Mourou (12,9%). Risultati significativi, soprattutto se paragonati con quelli del premier uscente Youssef Chahed (7,4%) e del Ministro della difesa e candidato di Nidaa Tounes, Abdelkarim Zbidi, al 10,3%. Ciò nonostante, anche se fosse confermato il quadro sinora delineato, nessuno dei due candidati in testa godrebbe dei numeri necessari per una maggioranza assoluta, lasciando quindi tutte le premesse per un futuro ballottaggio, da fissare entro il 13 ottobre.

LE RAGIONI DELLA VITTORIA DI KAIS SAIED E NABIL KAROUI

Dietro al successo elettorale sia del 61enne professore e giurista Kaïs Saïed e del magnate dei media tunisini Nabil Karoui vi sono tanto l’incapacità delle tradizionali formazioni politiche tradizionali di risolvere efficacemente le principali problematiche del paese, quanto l’abilità dei “volti nuovi” di farsi portavoce delle reali esigenze del popolo tunisino. Nonostante la detenzione dovuta a accuse di riciclaggio e di evasione fiscale, Karoui gode di una vasta popolarità, grazie alla fama di “campione della Tunisia dimenticata”. Saïed, per contro, si è fatto garante di un conservatorismo distante dalla sfera religiosa, avvicinando a sé quella fascia conservatrice della società tunisina che però rifiuta l’islamismo. Il risultato elettorale, in definitiva, presenta tutte le prerogative di un voto “anti-sistema,” con il quale la popolazione tunisina ha mandato un chiaro messaggio di rottura con il passato e di voglia di rinnovamento per la futura classe politica.

IL DATO DELL’ASTENSIONE

Quello dell’astensionismo rappresenta sicuramente il dato più significativo. Se nelle precedenti elezioni del 2014, infatti, alle urne erano andati a votare il 64% degli aventi diritto, cinque anni dopo tale cifra si riduce di 19 punti, attestandosi ad un mero 45%. Con un simile risultato, gli elettori tunisini mostrano chiaramente la loro mancanza di fiducia verso il sistema politico che dal 2011 ha governato il paese. Se quello che le principali testate giornalistiche tunisine definiscono un “terremoto politico” manifesta la voglia di cambiamento, allo stesso tempo rappresenta anche il principale campanello d’allarme, soprattutto se consideriamo che la Tunisia emerge come l’unico paese in cui è avvenuta una transizione democratica e pluralista dopo le Primavere Arabe. Una progressiva disillusione verso il sistema democratico sarebbe da considerare infatti una sconfitta non solo per il popolo tunisino, ma anche per tutti i vicini della regione, Italia compresa.

PROSPETTIVE FUTURE GUARDANDO AL SECONDO TURNO

Nessuno dei due candidati sembra godere della maggioranza assoluta e il ballottaggio appare certo. Ciò significa che l’elezione presidenziale assumerà ancor di più il ruolo di termometro politico, avendo infatti la capacità di influenzare potenzialmente anche il voto degli elettori tunisini per la scelta del rinnovo delle forze politiche che andranno a comporre il parlamento di Cartagine. Ciò garantirà alla scelta del nuovo presidente, quindi, una natura fortemente politica.

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