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Patto di stabilità, difesa comune e Macron. Parla l’amb. Valensise

La collaborazione con Francia e Germania resta fondamentale per gli interessi italiani. Su Libia e Africa, abbiamo carte importanti da giocare che possono trovare sponde importanti tra i partner, a condizione che l’approccio sia sinergico e non competitivo. Sul riesame del patto di stabilità, i segnali da Berlino sono incoraggianti, ma non vanno sopravvalutati. Parola dell’ambasciatore Michele Valensise, presidente di Villa Vigoni, Centro Italo-tedesco per l’eccellenza europea, già segretario generale della Farnesina e ambasciatore d’Italia a Berlino. Formiche.net lo ha raggiunto per commentare le recenti visite a Roma dei presidenti francese e tedesco, ma anche per capire meglio come affrontare la sfida della Difesa europea, ora che anche l’Italia ha aderito all’European Intervention Initiative voluta da Macron.

Ambasciatore, negli ultimi due giorni sono arrivati a Roma i presidenti Emmanuel Macron e Frank-Walter Steinmeier. C’era da recuperare qualcosa nei rapporti con i maggiori partner europei?

L’Italia, per sua natura, ha un ruolo importante da svolgere all’interno dell’Unione europea, di cui è membro fondatore. Ha dunque anche un rapporto rilevante in termini bilaterali con gli altri due grandi Paesi, Francia e Germania. È più che naturale che all’inizio dell’attività della nuova compagine governativa italiana ci sia interesse, da parte di entrambi i Paesi, a ri-alimentare il dialogo su basi più cooperative rispetto a quelle passate.

Ieri, il presidente Sergio Mattarella ha espresso il suo apprezzamento per una nuova conferenza sulla Libia a Berlino. Dopo le iniziative italiane e francesi, quella tedesca può essere vincente?

Il dossier libico è complesso e non c’è nessun Paese che lo conosca in tutte le sue sfaccettature come l’Italia. I Paesi europei e l’Unione europea dovrebbero avere un interesse comune a una stabilizzazione della Libia, ragion per cui è opportuno lavorare in maniera sinergica, non competitiva. Certo, è più facile dirlo che farlo, considerando i molteplici interessi in gioco. Tuttavia, se la Germania, (come sembra) vuole integrare gli sforzi e le politiche messi in piedi dell’Italia, e non antagonizzarle è sicuramente un punto positivo.

Nell’incontro con l’omologo tedesco, il presidente Mattarella ha anche rilanciato il messaggio sul riesame del Patto di stabilità e su un’Ue più espansiva sull’economia. Considerando che pure la Germania sta registrando difficoltà economiche, ci sarà la sponda di Berlino?

Su questo tema, possiamo contare su una comune lunghezza d’onda con la Francia. Poi, si è registrata qualche interessante apertura della Commissione guidata da Ursula von der Leyen. Nell’ultimo periodo, alcuni segnali sono arrivati anche dalla Germania, segnali che comunque non sopravvaluterei vista l’impostazione tradizionale a cui i tedeschi restano fedeli. Eppure, l’accenno che viene dalla Germania è incoraggiante, poiché punta verso una strada che l’Italia ha indicato da tempo di voler seguire.

Per quanto riguarda la Francia, dopo la visita di Macron, l’Italia ha chiesto di aderire all’European Intervention Initiative su cui in passato aveva espresso dubbi per l’estraneità dell’iniziativa a Ue e Nato. Sono perplessità che restano?

Questo lo vedremo in corso d’opera. Il nuovo governo si è appena insediato e potremo valutarlo solo con i primi atti concreti. Certamente, quando si parla di standardizzazione di taluni settori come quello della Difesa, è giusto affrontarla con sensibilità e interesse. Un’integrazione delle politiche di Difesa può essere vantaggiosa per ogni membro dell’Ue. Tra l’altro, si tratta di conciliare una prospettiva che viene da sessant’anni di esperimenti con un pilastro che ha retto il nostro sistema di difesa negli ultimi decenni, la Nato. Non partiamo da zero. C’è un lavoro pregresso, fatto a Bruxelles, tra Unione europea e Alleanza Atlantica. Bisognerà far valere gli elementi già sviscerati, ma non ancora tradotti in pratica.

Tra l’altro, la nuova presidente della Commissione è stata tra i promotori della nascente Difesa europea. È un progetto in cui credere, considerando anche nuovo Fondo da 13 miliardi di euro?

Credo proprio di sì. La Difesa è un aspetto tangibile di un’integrazione di successo. La standardizzazione di armamenti può portare a maggiore efficienza e a notevoli risparmi. L’Unione europea è votata alla collaborazione pacifica con tutti i partner, ma le esigenze di difesa vanno tenute in grande considerazione. È un tassello essenziale di una nuova Europa, più vicina al sentire e al volere dei cittadini.

Con l’uscita del Regno Unito dall’Ue, diversi osservatori italiani hanno espresso timori per un’Unione trainata dall’asse franco-tedesco. Sono preoccupazioni fondate?

Premesso che i rapporti tra Parigi e Berlino sono molto particolari, e che lo sono stati per decenni, dobbiamo intendere l’intesa tra Francia e Germania non come una conventio ad excludendum, ma come un nucleo che ha bisogno anche dell’Italia. Mi sembra cioè che la porta sia aperta affinché l’Italia ci sia e faccia sentire la sua voce, ancor più necessaria in un momento in cui, purtroppo, con rammarico dei veri europei, il Regno Unito si stacca dall’Ue. La Brexit non è l’occasione per rilanciare un duopolio, ma l’opportunità per una collaborazione più stretta tra i Paesi membri e particolare tra i tre grandi Paesi fondatori.

Nel momento dell’insediamento alla Farnesina, il ministro Di Maio ha spiegato che la sua priorità sarà l’Africa. È da perseguire in ottica nazionale o europea?

L’Italia può fare entrambe le cose. Dal punto di vista nazionale, abbiamo ottime carte da giocare nel continente africano: una grande tradizione di amicizia e collaborazione (si pensi solo agli storici rapporti con Corno d’Africa, Angola e Mozambico) e la buona reputazione di Paese senza “agende nascoste”. Sono carte importanti, anche a sostegno delle nostre imprese. L’Africa è una grande opportunità economica, sia per gli Stati del continente, sia per le imprese che con essi vogliono collaborare. Non a caso il ministro Di Maio ha parlato di Africa ma anche di un ruolo ancora più attivo nella promozione delle imprese italiane all’estero, un tema che porta direttamente dalla sua esperienza al Mise. Inoltre, l’Italia ha qualcosa da dire nell’incoraggiamento all’Unione europea, affinché politiche più attente all’Africa siano essere anche a Bruxelles. I due piani, nazionali ed europeo, sono complementari.

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