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Giù la maschera! La Cina spinge lo stato d’emergenza per Hong Kong

Le autorità di Hong Kong stanno valutando di reintrodurre già domani una legge speciale sullo stato di emergenza, dopo l’inasprirsi delle violenze collegate alle proteste pro-democrazia che da giugno incendiano il Porto Profumato. Il provvedimento — risalente all’epoca coloniale — darebbe al governo locale e alle forze di sicurezza (rappresentate da una guarnigione cinese via via rafforzata in queste diciassette settimane di proteste) poteri assoluti e senza controlli legislativi; istituirebbe il coprifuoco e impedirebbe certe attività ai manifestanti, come per esempio presentarsi in strada a volto coperto.

La proposta è stata avanzata da alcuni deputati locali apertamente pro-Cina, che stanno usando quanto successo due giorni fa per giustificare un inasprimento del regime di sicurezza. Nell’ultima ondata di dimostrazioni uno studente di 18 anni è stato colpito al petto da un poliziotto che gli ha sparato a bruciapelo: ora il manifestante è stabile, dopo un intervento chirurgico al polmone sinistro.

È stato il primo colpo esploso dalle autorità contro una persona. È arrivato nel giorno in cui a Pechino si festeggiava il 70esimo della Repubblica popolare. Le manifestazioni, partite come richieste pacifiche per sostenere il mantenimento dello schema “un paese, due sistemi” con cui la Cina dovrebbe garantire almeno fino al 2047 la semi-indipendenza dell’hub finanziario, stanno prendendo sempre più spesso una deriva violenta. Scene di guerriglia che Pechino condanna ma allo stesso tempo sospinge infimamente. Gli scontri sono un elemento di giustificazione, permettono al governo cinese di veicolare la necessità di stringere la cinghia.

Due giorni fa a Pechino, alla cerimonia del settantesimo che Xi Jinping ha usato per mostrare al mondo i suoi muscoli, era presente anche la governatrice hongkonghese, Carrie Lam — che è volata nella capitale con un aereo della China Air, compagnia cinese, in un messaggio simbolico contro la Cathay, i cui dipendenti hanno appoggiato le proteste. Ed è probabile che Lam — la cui posizione è molto precaria — abbia ricevuto un input sull’avvio del procedimento di legge per lo stato emergenziale. D’altronde, uno dei suoi accompagnatori, il deputato Gary Chan, ha giustificato lo sparo del poliziotto e detto che davanti a queste escalation di violenze serve una legislazione speciale che dia alle autorità modo di sedarle. È esattamente la linea del governo cinese, condita con le minimizzazioni apparse sui giornali internazionali in questi giorni, attraverso pagine propagandistiche comprate su alcuni importanti quotidiani come il Sole 24 Ore e il Financial Times.

Molti analisti sostengono da tempo che la Cina stia spingendo — anche attraverso agenti provocatori infiltrati — la trasformazione delle manifestazioni in scontri con la polizia. Questo giustificherebbe l’eventuale scelta di reprimere con forza la situazione. Ci sono stati contatti tra Lam e i leader delle dimostrazioni, ma è attualmente complicato il punto d’incontro. Chi scende in strada ha ormai abbandonato la motivazione iniziale — la promozione di una legge che avrebbe facilitato l’estradizione in Cina — e chiede che Pechino fermi la cinesizzazione di Hong Kong. Qualcosa di irrinunciabile per Xi.

(Foto: Twitter, un disegno sui manifestanti mascherati di Hong Kong)

 

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