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Conte, Di Maio e gli F-35. Perché il capo della Nato vola a Roma

La visita di Jens Stoltenberg a Roma arriva in un momento delicato per Giuseppe Conte. Il caso “Spygate” continua ad agitare la politica nazionale, mentre fuori dai confini nazionali la Libia resta un puzzle di difficile soluzione. Di fondo, il governo giallo-rosso ha confermato a più riprese la fedeltà all’Alleanza Atlantica e l’euro-atlantismo come riferimento della politica estera italiana (da ultimo, oggi, lo stesso premier). Eppure, i temi in ballo sono ancora diversi, e Stoltenberg li affronterà incontrando Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

LA VISITA

Stando alla nota diffusa dalla Nato, non ci sarà un incontro con il nuovo ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che tuttavia potrà confrontarsi con il segretario generale tra un paio di settimane, quando dovrà andare a Bruxelles per il consueto vertice con i colleghi degli altri Paesi alleati. Per Jens Stoltenberg, la visita si inserisce nel ciclo di incontri preparatori al prossimo vertice dei capi di Stato e di governo, in programma a dicembre per chiudere le celebrazioni del settantesimo anniversario della Nato a Londra, sede del primo quartier generale. In tal senso, la visita a Roma sarà utile per un confronto su tanti temi caldi, dalla Libia all’Afghanistan, fino all’Islanda, dove gli F-35 dell’Aeronautica militare italiana hanno fatto segnare un nuovo primato nell’ambito del programma: il primo dispiegamento di quinta generazione in una missione targata Nato. Un risultato importante (ce lo ha raccontato l’ambasciatore Francesco Maria Talò, rappresentante d’Italia al quartier generale dell’Alleanza Atlantica) e che tuttavia rischia di essere offuscato dal riaccendersi del dibattito politico sul dossier, con nuovi dubbi sugli impegni italiani e i conseguenti rischi per la credibilità internazionale.

IL NODO DELLE RISORSE

Potrebbe esserci anche un nuovo riferimento al burden sharing, tema che sta particolarmente a cuore agli Stati Uniti di Donald Trump e che comunque Stoltenberg ha abbracciato sin da subito. Si tratta dell’impegno a rispettare gli obiettivi sanciti nel vertice in Galles del 2014, soprattutto il famoso 2% del Pil da destinare alla Difesa entro il 2024. L’Italia è ben lontana dal target, attestandosi all’1,15% con scarse prospettive di miglioramento. Su questo tuttavia la strategia italiana è chiara: cercare di spiegare agli alleati che il contributo non è misurabile solo in un rapporto economico, e che anzi deve essere maggiormente considerato il ruolo nei vari contesti in cui la Nato è impegnata. Su questo, l’Italia è seconda solo agli Stati Uniti, con una partecipazione di tutto rispetto alle missioni dell’Alleanza Atlantica, a partire dal dispiegamento in Afghanistan con Resolute Support.

I TEMI CALDI

Anche di questo parlerà probabilmente Stoltenberg con Conte e Di Maio, visto il focus che la Nato dedica alla missione in ogni suo vertice. Per ora, la linea è comunque chiara, tra l’altro condivisa anche dall’Italia: ci si ritirerà dall’Afghanistan solo tutti insieme, e solo quando le condizioni lo permetteranno. Da parte loro, Di Maio e Conte cercheranno probabilmente di puntare sui temi che interessano più da vicino l’Italia, a cominciare dalla Libia. Da tempo si discute su un possibile coinvolgimento della Nato per favorire la stabilizzazione, ipotesi considerata dai più ancora prematura a causa delle divergenze politiche e di interesse che gli alleati (soprattutto europei) hanno dimostrato sul dossier. La questione libica rientra negli interessi che l’Italia ha ormai inserito nel concetto di “Mediterraneo allargato”, e su cui da tanto tempo chiede maggiore attenzione alla Nato. Una richiesta che probabilmente verrà nuovamente confermata a Stoltenberg, e che passa anche dalla piena valorizzazione dell’Hub per il Sud di Napoli, la direzione strategica dell’Alleanza che studia le minacce provenienti dal fianco meridionale.

IL MOMENTO

Tra l’altro, come dicevamo, Stoltenberg arriverà da Conte in un momento delicato. Mentre il caso “Spygate” continua diffondere fermento in tutta la politica italiana, è attesa per domani l’elezione del nuovo presidente del Copasir, il comitato parlamentare che vigila sull’intelligence nazionale a partire dal suo vertice, il presidente del Consiglio, atteso per un’audizione tesa a chiarire i dettagli dei due incontri avuti a Roma dal procuratore generale Usa William Barr con i vertici dei Servizi. Turbolenze che alimentano tra l’altro la discussione circa l’opportunità per Conte di nominare un’autorità delegata, in un contesto che chiama in causa anche i rapporti con l’alleato d’oltreoceano.

DA TIMORI AD AVVERTIMENTI

Stoltenberg aveva già fatto tappa a Roma a giugno dello scorso anno, incontrando Conte a poche settimane dall’insediamento dell’esecutivo giallo-verde. Allora, le preoccupazioni degli alleati riguardavano il possibile scivolamento ad est dell’Italia, generate da alcune dichiarazioni al miele nei confronti di Mosca di alcuni rappresentanti della nuova compagine governativa e da una prima bozza del contratto di governo in cui si parlava di eliminazioni delle sanzioni alla Russia. Timori che si sono progressivamente dissolti, complice la puntale conferma della fedeltà italiana all’Alleanza Atlantica. Oggi, quei timori in ambito Nato sono stati sostituiti dagli avvertimenti, per lo più a targa statunitense, nei confronti della minaccia che arriva dalla Cina, tra 5G e infrastrutture strategiche. L’Alleanza ha dimostrato una certa difficoltà ad accettare un ampliamento delle minacce che comprenda anche il Dragone, essendo storicamente focalizzata sulla tradizionale minaccia da est (leggasi Russia). Eppure, negli ultimi tempi, nei vari dibattiti Nato, il tema della Cina come primo competitor è emerso con sempre maggior vigore.

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