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Il Def? Nel segno della continuità. L’analisi di Pennisi

Dalla lettura delle 120 pagine della Nota di aggiornamento di economia e finanza (Nadef), si deduce che il governo “della svolta” opera nel segno della continuità. Occorre precisare che proprio la mole del Nadef (quando si deciderà di produrre documenti stringati e “to-the-point”, ponendo in allegati le analisi aggiuntive?) rende difficile un’interpretazione puntuale e che, per una valutazione di merito completa, occorre attendere il Documento di Programmazione di Bilancio (DpB) in arrivo il 10 ottobre, in cui, seguendo regole di stesura uniformi per tutti gli Stati dell’Unione europea (Ue), si presenterà, in un’ottica triennale, dati di finanza pubblica (spese, entrare, saldi, indebitamento, debito) e di economia reale (valore aggiunto, occupazione, ecc.).

Tuttavia, i dati salienti sono eloquenti. La “manovra” sarà attorno a 29 miliardi, in gran parte per sterilizzare le clausole di salvaguardia relative all’Iva (23 miliardi). Di quel che resta, una piccola parte (2,7 miliardi) andrà alla riduzione del cuneo fiscale ed il resto in vari piccoli interventi (stabilizzazione dei precari, asili nido, revisioni dei ticket nella sanità, e via discorrendo), meritori in se stessi ma il di fuori di una vera strategia, ed anche a progetti (la Banca per gli Investimenti Pubblici) che sembrano duplicazioni (della Cassa Depositi e Prestiti e della Banca del Sud). In effetti, non si vogliono toccare i due provvedimenti bandiera del governo precedente: “quota 100” e “reddito di cittadinanza”.

Per “quota cento”, una misura triennale, è prevista una valutazione nel 2021 prima di una sua eventuale estensione. Le richieste di valutare il “reddito di cittadinanza” non hanno avuto risposta nonostante informazioni giornalistiche indichino che il programma pare essere nel caos: navigator che non sanno cosa fare, assenza di controlli, e persino tra i fruitori una ex-terrorista condannata per l’omicidio di Massimo D’Antona. Al contrario, dalla lettura del documento traspare che i 7 miliardi e rotti di “flessibilità” che si chiedono alle autorità europee verranno destinati essenzialmente a questi due provvedimenti dato che esiste una vasta platea di investimenti pubblici già finanziati e che per decollare attendono solo che il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti completino adempimenti amministrativi in capo a loro, e per i nuovi investimenti “verdi” si è ai prolegomeni (ma perché, per dare un segnale, la Regione Lazio non sblocca il programma di termovalorizzatori per contribuire a risolvere la crisi dei rifiuti nella Capitale?).

Sotto il profilo macro-economico, il Nadef sposta di un anno il programma di risanamento della finanza pubblica: nel 2020, l’obiettivo di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni è fissato al 2,2% del pil con graduale riduzione negli anni successivi, sempre che determinanti interni ed internazionali non provochino una nuova recessione (come molte Cassandre suggeriscono; purtroppo, la Cassandra del mito greco ha avuto ragione). Pare ci sia un benign neglect nei confronti dell’aumento del debito pubblico (già quasi al 135%); anche questo aspetto è in continuità con il Governo precedente – in particolare con il brain trust della Lega. Il rischio è che se la recessione arriva, le previsioni di crescita del Pil (0,6% nel 2020, ed 1% l’anno nel 2021 e nel 2022) rischiano di essere spazzate senza che si abbiano difese per il programma di finanza pubblica.

Due commenti, uno carattere economico ed uno a carattere politico. C’era una strategia alternativa? Si sarebbe potuto rimodulare l’Iva, contenere le spese correnti, rivedere il “reddito di cittadinanza” e puntare sugli investimenti, mettendo così in maggiore sicurezza i conti pubblici in caso di recessione.

Sotto il profilo politico, i maligni posso dire che il PD si è appiattito sul M5S, strategia che potrebbe essere miope. Ma è meglio lasciare questo aspetto ai politologi.

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