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In difesa di Domenico Giani. L’opinione del generale Tricarico

Le storie di corvi non mi hanno mai interessato più di tanto, anche perché spesso chi ne scrive potrebbe appartenere alla stessa genie di persone infide e malevole. E tuttavia un atteggiamento negazionista rispetto alle non infrequenti vicende di malaffare che da un po’ di anni vedono protagonisti esponenti anche di rango del Vaticano non può non suscitare più di un sospetto che oltretevere l’atmosfera sia alquanto avvelenata.

Fossi io pertanto il responsabile della sicurezza nelle sue numerose articolazioni ed in particolare di quella che attiene alla trasparenza dei comportamenti ed alla affidabilità del personale avente accesso a materie delicate, chiamerei senza indugio a raccolta le persone più fidate e con loro architetterei ogni possibile difesa.

Questa premessa per dire quanto le dimissioni da Capo della Gendarmeria Vaticana di Domenico Giani possano rappresentare nei fatti, il collassare di un fondamentale pilastro nell’architettura di sicurezza dello Stato Vaticano. Conosco Giani ormai da venti anni, lo conosco bene, e di una cosa posso dare testimonianza certa ed incontrovertibile: la sua fedeltà al Santo Padre.

Si badi bene, nella confidenzialità dei nostri rapporti, non ha mai esternato a mia memoria professione di fedeltà al Presidente del Governatorato, al Segretario di Stato o al suo Sostituto, o a qualche alto prelato sulla catena gerarchica, ma alla figura del Santo Padre per quello che essa rappresenta.

Né tantomeno Giani si è mai lasciato andare a confidenze di alcun tipo nonostante la nostra familiarità, anche nei momenti che percepivo per lui difficili a causa di qualche delicato dossier in cui fosse a conoscenza o in cui avesse un ruolo.

Senza parlare poi della vera e propria rivoluzione, in positivo, creata nel servizio, liberandolo dalle incrostazioni anacronistiche della gestione precedente ed adeguandolo alle sfide delle più recenti ed insidiose forme di rischio.

Padre Santo, io non so quanto la pur quotidiana consuetudine con Domenico Giani Le abbia consentito di mettere a fuoco la lealtà e la totale dedizione del suo servitore. Proprio per questo non Le voglio far mancare la mia disinteressata testimonianza.

Si dice giustamente che in una organizzazione molti sono utili ma nessuno è indispensabile, ma è anche vero che, dato il contesto in cui Sua Santità pare alla ricerca di nuovi e più nobili assetti per la Chiesa, lasciar andare un suo convinto, fedele, determinato e capace servitore pare un rischioso azzardo sopratutto se un giorno Papa Francesco vorrà sparare a qualche corvo e non avrà chi potrà prendere bene la mira.

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