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Da Mario Draghi a Christine Lagarde. Il passaggio di consegne alla Bce visto da Pennisi

Tra meno di due settimane, il primo novembre, Christine Lagarde avvicenderà Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea (Bce). Cosa comporterà questo cambiamento? Ci sono aspetti che riguardano le caratteristiche delle personalità coinvolte.

Draghi è un economista, giunto alla Bce dopo una carriera accademica in cui ha lavorato a lungo sugli aspetti macroeconomici delle aspettative razionali, è stato consigliere di ministri del Tesoro e della Banca d’Italia, ha rappresentato l’Italia nel Consiglio d’amministrazione della Banca Mondiale, direttore generale del Tesoro prima di arrivare alla guida della Bce. Un percorso da public servant, interrotto solo da un breve periodo in una banca d’affari privata internazionale.

Christine Lagarde, invece, è una giurista, avvocato d’affari e di formazione in gran misura americana, entrata relativamente tardi nella vita politica e nel settore pubblico, quando nel 2005 è diventata, prima ministro del Commercio con l’Estero, poi ministro dell’Agricoltura e della Pesca e, infine ministro dell’Economia, dell’Industria e dell’Occupazione. Ruolo da cui è giunta alla guida del Fondo Monetario Internazionale in un momento in cui il vertice dell’istituzione (un ex ministro francese) versava in una grave ed inattesa crisi. Al Fondo, si è interessata soprattutto degli aspetti organizzativi dell’istituzione, lasciando agli economisti la cura degli aspetti più prettamente economici. Giunta al Fondo nel 2011, ha guidato con attenzione l’istituzione negli anni in cui la comunità internazionale usciva dalla crisi iniziata nel 2008; anni in cui le dimensioni giuridico formali erano particolarmente importanti.

Due profili, quindi, molto differenti, accomunati da una grande abilità manageriale. Negli anni passati al Fondo, Christine Lagarde si è rivelata molto abile nella ricerca del consenso nel Consiglio d’amministrazione. D’altro canto, Draghi non ha esitato ad annunciare politiche e misure innovative (come il Whatever it takes) anche se membri influenti del Consiglio della Bce avevano, e manifestavano, opinioni difformi. Con Lagarde alla presidenza, ci si deve attendere una maggiore consensualità e collegialità nella Bce: ciò riguarda principalmente le misure “non convenzionali” di politica monetaria, come il Quantitative Easing.

Alle caratteristiche personali, si aggiunge un cambiamento di clima. All’ultima sessione del Consiglio della Bce, almeno sette dei 24 componenti si sono espressi contro la nuova fase di Quantitave Easing; tra essi i rappresentati di banche centrali di peso, come quelle della Francia, della Germania e dell’Olanda. Pochi giorni dopo gli ex presidenti/governatori delle banche centrali di Austria, Francia, Germania ed Olanda hanno preso carta e penna e scritto una nota di dura critica a Draghi per la sua conduzione della Bce. È chiaramente una lettera a nuora perché suocera intenda. Il vero destinatario non è Mario Draghi ma Christine Lagarde.

Non è questa la sede per entrare nel merito delle due scuole di pensiero. Da un lato, giunti a tassi d’interesse negativi, si mette a rischio il settore bancario e si inducono i Paesi fortemente indebitati (leggi: Italia) a ritardare difficili ma necessario riforme. Da un altro, invece, la domanda aggregata nell’area dell’euro resta a livelli bassissimi e richiede stimoli.

Il punto essenziale è che sono cambiati sia il pilota sia le condizioni di volo. Sarebbe errato, nel forgiare politiche economiche, scommettere su una Bce “iper accomodante”.

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