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Phisikk du role – Umbria. A urne chiuse

Sono le dodici di domenica 27 ottobre e l’antico popolo italico degli umbri (osco-umbri, ad essere precisi), che abita la magnifica regione ficcata nel centro geometrico dell’Italia unita, sta andando a votare.

Non sono ancora diffusi i dati dell’affluenza e francamente, anche se lo fossero, non li guarderei perché vorrei fare due considerazioni ad urne chiuse. Tuttavia, se proprio devo lanciarmi su previsioni di affluenza presumerei le urne alquanto frequentate, visto il chiasso da Umbria-ombelico-del-mondo fatto dai media nazionali.

Quelle che faremo, però, saranno considerazioni non di tipo previsionale, che già si sprecano e fanno venire i lucciconi di tenerezza a Salvini, ma sul carattere di questo voto. Diciamo subito che la tendenza ansiogena indotta dai giornali e dalle tv-e di conseguenza anche per gli attori politici della maggioranza (quelli all’opposizione devono stare sempre “parati”), su queste elezioni regionali, quasi fossero il giudizio di Dio sul governo Conte bis, appare un po esagerata. Ne capiamo le ragioni: sull’osso del giudizio elettorale vero, non quello virtuale dei sondaggi, c’è solo questa prima polpa, che capita per giunta in una regione “storicamente” rossa.

Sennonché, in Italia di “storicamente” è rimasto solo Garibaldi e qualche barzelletta machista: per il resto ad ogni giro si cambia. Dunque occorre ricollocare il voto di oggi nel suo alveo: si vota per dare un governo alla Regione, non per giudicare quello in piedi da un mese e mezzo a Roma. Anche perché quello il primo giudizio lo avrà dopo la manovra economica ancora in progress. Dunque: il voto locale va con una sua diversa logica per un’altra e convincente ragione: nel sistema politico italiano esiste una situazione duale, promossa e cristallizzata dai sistemi elettorali. Su piano locale vige la regola proporzionale supportata dal voto di preferenza, tranne che per i candidati sindaci e presidenti di regione, che fanno i collettori dei voti di tutti gli sherpa che li sostengono. Sul piano nazionale, anch’esso largamente proporzionalistico, vige la regola della cooptazione, per capirci: delle liste bloccate. Pertanto il cittadino sceglie il suo candidato, nelle assemblee comunali e regionali, costruendo un rapporto fiduciario che prevede anche la regola della revoca del mandato nel caso di sfiducia politica. Sul piano nazionale no: fanno tutto i capi-bastone compilando le liste con i più “allineati e coperti”, a prescindere da qualità e consenso popolare, poiché si presume (giustamente) che il voto venga dato dall’elettore non alle liste, ma al leader che le rappresenta.

Facciamo un esame empirico? A chi tra i lettori ricorda il candidato eletto nella sua circoscrizione o nel suo collegio elettorale il 4 marzo 2018 (senza ausili furbetti dal web: esibire prove irrefutabili!), la redazione provvederà a consegnare un premio fantastico. È un sistema di cooptazione senza riparo: lo stesso elettore potrebbe veder ripresentato quel candidato che, una volta eletto col sistema della lista bloccata, non abbia soddisfatto per niente le sue aspettative: in questo caso si aprirebbe la scelta tra cambiare lista, dunque partito, o tenersi l’uscente un po’ loffio.

Lasciamo l’elettore nel suo dramma esistenziale e torniamo a noi: i sistemi elettorali diversi, come già detto, sorreggono due sistemi politici diversi che non si incontrano mai: il locale e il nazionale. Dunque il voto Umbro potrebbe avere un suo valore indicativo sulla tenuta del governo oppure no. Prendiamolo come un sondaggio di Piepoli, mixato con Noto, Pagnoncelli e una spruzzatina della Ghisleri. Insomma, una specie di maionese innervosita e poco disposta a farsi stendere sul dentice bollito.

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