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L’Italia sulla Luna. L’intesa tra Asi e Nasa per salire a bordo di Artemis

L’Italia sale a bordo di Artemis, il programma con cui gli Stati Uniti vogliono tornare sulla Luna entro il 2024. Ieri sera, a Washington, a margine dell’International Astronautical Congress (Iac) che ogni anno riunisce la comunità spaziale di tutto il mondo, il presidente dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) Giorgio Saccoccia ha siglato l’intesa con il capo della Nasa Jim Bridenstine. Il nostro Paese dovrebbe lavorare in particolare sui moduli abitati, ma la rinvigorita cooperazione appare molto più ampia, dai nano-satelliti alla biomedicina.

L’INTESA

L’Italia diventa dunque il primo Paese europeo ad aderire all’ambizioso programma lunare voluto dall’amministrazione targata Donald Trump. Si prevede il lancio di un Lunar Gateway orbitante, per poi creare una presenza stabile sul polo sud della Luna da cui partire per altre destinazioni, in primis Marte. Su tutto questo Nasa e Asi hanno ora lanciato “una cooperazione bilaterale di lunga durata”, fa sapere l’agenzia italiana. La dichiarazione d’intenti, aggiunge la Nasa, ha identificato le aree di possibile collaborazione scientifica e tecnologica tra le due agenzie, e rappresenta un “potenziale” per le rispettive industrie. Se le attese sui dettagli dell’accordo verranno confermate, l’Italia dovrebbe fornire le proprie competenze su moduli abitativi e sistemi per l’approdo sulla Luna. Si parla tuttavia anche di interessi comuni su sistemi bio-rigenerativi per il supporto alla vita, strutture espandibili e satelliti di piccole dimensioni per l’esplorazioni dello Spazio profondo.

UNA COLLABORAZIONE RODATA

In ogni caso, l’interesse italiano a partecipare era chiaro da tempo. Già negli Indirizzi di governo in campo spaziale, siglati dal premier Giuseppe Conte lo scorso marzo, si esplicitava la volontà della Penisola di salire a bordo di Artemis. A dar manforte a tali ambizioni sono intervenuti due fattori: le eccellenze in campo scientifico e industriale, e la consolidata relazione con gli Stati Uniti. Nel 1964, l’Italia il terzo Paese al mondo a spedire un satellite in orbita, e lo fece proprio dagli Usa. Quel legame fu rafforzato nel tempo, fino allo storico accordo tra Asi e Nasa relativo alla fornitura italiana dei moduli pressurizzati (Mplm) per la Stazione spaziale internazionale, in cambio dei quali i nostri astronauti hanno avuto un accesso privilegiato alla piattaforma orbitante.

UNA BASE SOLIDA

Per questo, da diverso tempo si preparava la strada all’adesione ad Artemis. Lo spiegava a luglio l’ammiraglio Carlo Massagli, consigliere militare a palazzo Chigi e segretario del Comitato interministeriale (Comint) dedicato al settore. “Le nuove sfide offerte dal programma Artemis possono rappresentare la prossima fare della special relationship tra Italia e Stati Uniti nello Spazio”, diceva di fronte all’ambasciatore americano a Roma Lewis Eisenberg. Gli faceva eco nella stessa occasione Saccoccia: “Abbiamo le tecnologie per accelerare il processo relativo ai primi elementi del Lunar Gateway, ma vogliamo anche partecipare ai prossimi passi”. Ancora prima, il governo italiano aveva inviato una lettera Scott Pace, segretario esecutivo del National space council (Nsc) voluto da Trump, in cui si offriva come partner per contribuire proprio con un modulo abitativo. Più di recente, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, delegato dal premier Giuseppe Conte alle politiche relative a spazio e aerospazio, ribadiva ad Airpress le opportunità: “Abbiamo tutte le carte per poterci porre obiettivi ambiziosi, come il ritorno e la presenza stabile sulla Luna e anche l’esplorazione robotica di Marte”.

LA CARTE ITALIANE

Non è un caso dunque che qualche giorno fa, alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella, l’Italy-Usa Innovation Forum, organizzato alla Stanford University in California, abbia avuto un panel dedicato allo spazio. Per l’Italia, insieme a Saccoccia e nella delegazione guidata dal ministro dell’Innovazione Paola Pisano, vi ha partecipato Donato Amoroso, amministratore delegato di Thales Alenia Space, l’azienda specializzata (anche) nella realizzazione di moduli abitativi per stazioni spaziali. A proporsi agli Usa è stata tuttavia l’intera filiera italiana, un patrimonio che consente ancora al Paese di essere annoverato tra le potenze spaziali. Ciò ha permesso la firma della nuova intesa con la Nasa, che arriva per il programma Artemis dopo le adesioni di Canada e Giappone. Difatti, da diversi mesi gli Stati Uniti sono alla ricerca di partner da far salire a bordo del programma.

L’INTERESSE AMERICANO

Rispetto all’impostazione adottata con la Stazione spaziale internazionale (in cui gli Usa hanno collaborato anche con la Russia), il nuovo approccio a stelle e strisce si è tuttavia caricato dell’America first di Donald Trump, e dunque di un carattere di competizione geopolitica che trova riscontro nelle forti ambizioni (anch’esse lunari, ma non solo) della Cina. Perciò, i Paesi a cui la Nasa e l’amministrazione Trump hanno rivolto lo sguardo sono quelli occidentali, gli alleati della Nato (con poche aggiunte) così da garantire una connotazione chiara di alleanza. Lo ha chiarito aprendo il Congresso di Washington il vice presidente Mike Pence, che ha invitato “alleati e partner” a “far progredire insieme la conoscenza umana nello spazio” evidenziando tuttavia che l’invito a salire sui nuovi programmi americani è rivolto alla “nazioni che amano la libertà”.

(Foto: Agenzia Spaziale Italiana)


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