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LA TURCHIA CHE AFFRONTA A MUSO DURO IL DIRITTO INTERNAZIONALE, AGGREDENDO LA SIRIA, STATO SOVRANO E INDIPENDENTE

Risultato immagini per turchia attacca la siria

(foto da https://www.quotedbusiness.com/)

 Ormai, è un dato di fatto che la martoriata Siria non ha ancora pace da anni di guerra e che, ancora una volta, dopo lo smantellamento dell’ISIS, gruppo terroristico che ha tenuto sotto controllo alcuni lembi territoriali siriano e iracheno, si ritrova nel precipizio di una guerra, soprattutto nel nord est dove massiccia è la presenza dei curdi, che vivono in un’area totalmente autonoma e che da anni reclamano il diritto ad autodeterminarsi. Oggi, questo popolo si trova ad affrontare la gigante Turchia, guidata dal presidente  Recep Tayyip Erdoğan, che ha deciso di entrare nel territorio siriano con una massiccia forza militare, senza il consenso di Damasco, attraverso la c.d. operazione Primavera di pace (Peace Spring) che succede alla precedente operazione denominata Ramoscello d’ulivo, che aveva come obiettivio quello di colpire il Partito dell’Unione Democratica curdo in Siria (PYD), e la sua ala armata Unità di Protezione Popolare (YPG), oltre che le posizioni delle Forze Democratiche Siriane (SDF) che circondano la città siriana di Afrin, precedente invasione della Siria da parte della Turchia. La nuova operazione, che ritengo immotivata e infondata sul piano giuridico, ha cagionato la fuga di migliaia di civili curdi e che essa possa causare una catastrofe umanitaria. Un altro punto da tenere presente è che questa operazione sta causando il fuggi, fuggi di molti combattenti terroristici stranieri, che erano detenuti nelle carceri controllate dai curdi, con il rischio di dar la possibilità ai terroristi di riorganizzarsi e ridare vita allo spettro del pseudo Stato islamico di matrice jihadista. L’occidente dimentica che proprio le forze curde, che hanno contribuito a tenere a smantellare l’intero apparato dell’ISIS e che l’azione coercitiva militare turca sta colpendo le forze curde che hanno avuto un ruolo determinante contro gli uomini dell’ISIS.

 La Turchia, per rispondere alle tante critiche provenienti dalla comunità internazionale, mediante il suo rappresentante permanente presso le Nazioni Unite, l’ambasciatore Feridun H. Sinirlioğlu, ha reclamato il proprio diritto alla legittima difesa, ai sensi dell’articolo 51 della Carta,  che sta a indicare il diritto naturale di autotutela, per contrastare una minaccia terroristica imminente. Questa disposizione – come ebbi modo già di sottolineare in una mia intervista – evidenzia che l’uso unilaterale della forza armata può essere trasferito nel quadro della liceità solo nel momento in cui uno Stato debba essere costretto ad adottare tutti i mezzi necessari per difendersi da un’aggressione posta in essere da un altro Stato (https://scenarieconomici.it/sulla-siria-occorre-agire-allinterno-della-cornice-del-diritto-internazionale/), per cui la stessa Turchia non rientra nella fattispecie del diritto di auto-tutelarsi per la mera ragione che non ha subito alcuna aggressione dallo Stato siriano.

 Le autorità di Ankara si riferiscono al fatto che gruppi come il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Partîya Karkerén Kurdîstan PKK), il Partito dell’unione democratica (Partiya Yekîtiya Demokrat– PYD – حزب الاتحلديمقراطي) e l’Unità di Protezione Popolare (Yekîneyên Parastina Gel -YPG – وحدات حماية الشعب), che operano ai confini del nord-est della Siria, sono reputati quale fonte di minaccia diretta e imminente soprattutto alle postazioni turche di frontiera che, spesso, erano bersagli di cecchini e missili guidati anticarro (si veda  in https://undocs.org/S/2019/804).

Come ho già esposto prima, nell’ottica del diritto internazionale, vige il sacrosanto diritto alla legittima difesa che scatta nel momento in cui si verifica realmente un attacco armato contro un altro Stato, in base, a mio parere, a tre requisiti: il primo è quello di un attacco armato effettivo o imminente contro uno Stato; il secondo consiste nell’avere un attacco che deve raggiungere una scala minima; e, infine, quello secondo cui vi deve essere l’elemento della necessità e della proporzionalità della risposta armata.

Spesso, negli utltimi tempi, qualche Stato si appella alla legittima difesa c.d. preventiva o anticipata consistente nell’uso dell’intervento coercitivo armato contro le minacce non imminenti che, tuttavia, potrebbero concretizzarsi in seguito ovvero la reazione armata alla mera minaccia o pericolo di un attacco armato altrui, come, a titolo emblematico, un futuro attacco con le armi di distruzione di massa.  Si può, pertanto, ritenere che tale difesa preventiva può, in via prettamente eccezionale, essere accettata quando l’attacco è già iniziato o è in fieri, anche se non ha ancora raggiunto l’obiettivo colpendolo o nel momento in cui esistano prove tangibili da far credere che l’attacco sia imminente (G. Paccione). L’esistenza di tale diritto è stata a lungo controversa, nel senso che un simile diritto può avere il suo modus operandi qualora ci sia un concreto imminente attacco militare contro uno Stato. Oggi, però, si discute pure se esiste un diritto di legittima difesa in caso di un attacco coercitivo armato non da entità statali, ma  da parte di attori non statali e se possa dare alito ad un’azione di carattere difensivo sul suolo di un altro Stato. Tuttavia, si può asserire che questo diritto può avere la sua attuazione laddove uno Stato si trovi nel vicolo cieco del c.d. criterio unwilling or unable – vale a dire l’assenza di volontà o il non essere in grado – di impedire ad attori non statali di condurre un attacco armato transfrontaliero su vasta scala dal territorio di quello Stato.

 Da tutto ciò si può desumere che l’operazione Peace Spring messa in atto dalla Turchia come diritto di autotutela non rientra nelle norme del diritto internazionale generale, come pure nella Carta delle Nazioni Unite, sottolineando che l’uso della forza è vietato dall’articolo 2, paragrafo 4 della Carta di San Francisco, articolo che è stato dichiarato dalla Corte Internazionale di Giustizia, nella ben nota sentenza relativa al caso sulle attività armate del Congo del 2005, quale pietra angolare, ma anche norma dello jus cogens. Pertanto,  l’attacco messo in atto dalla Turchia contro la Siria e il popolo curdo, fuori da questa cornice, è considerato illecito.

 Tornando alla questione giustificativa del rappresentante turco presso le Nazioni Unite, il presunto stuzzicare delle unità curde non può essere verificato, data la vaga posizione delle Turchia. Ma, supponendo che vi fosse stato un continuo molestare al confine turco siriano, ciò non può essere una scusante per mettere in moto una macchina militare di grossa intensità par attaccare eventuali entità non statali presenti sul suolo siriano.

 Altro punto interessante del contenuto della nota verbale, presentata dal diplomatico turco, consiste nel fatto che le autorità di Ankara non facciano utilizzo dell’espressione giuridica cruciale attacco armato, come pure la questione che non asserisce di aver adottato misure come risposta a un attacco armato, ma fonda la sua ragione essenzialmente sulla necessità di combattere un imminente minaccia di matrice terroristica. Inoltre, leggendo con attenzione la lettera indirizzata al Presidente del Consiglio di Sicurezza, ictu oculi si nota l’assenza giustificativa del concreto e imminente attacco oltre frontiera delle forze curde.

 Altro nocciolo della questione riguarda il fatto che sia la Siria, che la comunità internazionale sono state sempre attente alle preoccupazioni che concernono la sicurezza dello Stato turco. Ci si riferisce a un accordo firmato dalle autorità di Damasco e di Ankara nel 1998, denominato accordo di Adana, che ha come scopo quello della lotta al fenomeno del terrorismo, che è stato menzionato nella lettera dell’agente diplomatico turco indirizzata al Consiglio di Sicurezza, riferimento che, in realtà, è da considerare fuorviante. Infatti, l’annesso 4, inserito nell’accordo, limita qualsiasi misura di sicurezza turca immaginabile necessaria ad un’area di 5 km in profondità nel territorio della Siria. 

 Ritengo duramente che questa operazione è una netta violazione del divieto dell’uso della forza e che il governo turco, capeggiato dal presidente Recep Tayyip Erdoğan, stia incorrendo in una responsabilità di carattere penale individuale per crimine di aggressione, come sancito dallo Statuto della Corte Penale Internazionale, consistente nell’uso illecito e ingiustificato della forza armata contro il territorio e l’indipendenza dello Stato siriano; non solo, ma l’atto aggressivo costituisce anche un crimine internazionale imputabile all’individuo, in questo caso il presidente turco Erdoğan, che ha architettato, pianificato, ordinato o eseguito l’atto di aggressione. Va, inoltre, aggiunto che, sempre lo Statuto della Corte Penale Internazionale, nel momento in cui il Consiglio di Sicurezza denunci una situazione, in cui i giudici di questo organismo penale internazionale potranno occuparsi del crimine,  anche se compiuto da individui organi (in questo caso di Erdoğan e il suo entourage) può segnalare al Procuratore una situazione nella quale uno o più di tali crimini appaiono essere stati commessi.

 La Turchia, attualmente, è insito nella struttura dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, c.d. NATO istituita con il Trattato firmato a Washington il 4 aprile 1949, che costituisce la base giuridica e negoziale dell’Alleanza ed è stato concepito nell’ambito dell’art.51 della Carta delle Nazioni Unite, che riafferma il diritto degli Stati alla legittima difesa individuale e collettiva, in quanto Stato membro, dove, dopo l’annuncio dell’inizio dell’operazione, gli Stati membri del Patto atlantico e non avevano chiesto ad Ankara di abortire tale operazione, sottolineando che incorreva nella totale violazione dell’inibizione dell’impiego dello strumento armato. Ovviamente, il presidente Erdoğan se ne è lavato le mani, disinteressandosi dell’appello proveniente da organizzazioni internazionali e regionali, proseguendo la sua campagna aggressiva contro il territorio siriano. Anzi, ha posto un avvertimento ai singoli Stati, all’UE, alla NATO e  alle Nazioni Unite,  che se continuano a contestare la sua operazione, è pronto ad aprire le porte ai rifugiati che sono presenti in molte strutture turche.

 Una vera faccia da spudorato che crede di poter ricattare come vuole e quando vuole la comunità internazionale, infischiandosene delle regole internazionali che sono considerate pietre miliari per il fragile equilibrio della pace e della sicurezza internazionale. In conclusione, si può, senza alcun dubbio, affermare  che l’invasione turca è da considerare una grave violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite e che tale azione militare unilaterale nei confronti di uno Stato sovrano e indipendente va condannata.

16 OTTOBRE 2019                                                                                                GIUSEPPE PACCIONE

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