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Limiti al conflitto

Inevitabile, il conflitto nasce e vive anzitutto in noi. Esso è già storico in ogni nostra interiorità.

In molti si concentrano sulla metamorfosi del conflitto, sulle forme che assume nel nostro tempo interconnesso e digitalizzato. Qui interessa avviare una riflessione sul rapporto tra conflitto e convivenza, sulla costruzione di quel “tra” di arendtiana memoria che, al contempo, comprende e supera ciascuno di noi.

Se apriamo lo sguardo, il conflitto può diventare tanto condizione di convivenza (siamo differenti e, dunque, integrabili) quanto condizione di radicalizzazione (ci riteniamo diversi e, di conseguenza, ci chiudiamo nel nostro particolare). Oggi sembra vincere la seconda opzione ma, siccome la storia non finisce, val bene porre il tema dei limiti al conflitto nella prospettiva (dinamica) di laboratori post-totalitari per un progetto di civiltà.

O ritorniamo all’essenza del problema o continueremo a navigare come esseri umani che non diventano soggetti storici. La sfida è chiara, almeno per chi la vuole vedere: le nostre società si ostinano a caratterizzarsi come sommatorie d’individualità non dialoganti, luoghi del disagio e delle diseguaglianze, navi in balia delle tempeste che noi stessi creiamo nell’assenza di un lavoro paziente e costante di definizione di un senso e di un significato comuni per l’intera umanità. Ciascuno di noi, unico e irripetibile, è parte indispensabile ma non esaustiva di un mosaico più grande e complesso.

Il lavoro è, nel profondo, culturale e politico. Laddove i nostri sguardi non si aprono, risulterà sempre più comodo lasciarsi andare alla esasperazione dei conflitti come possibilità illusoria per il superamento di altri conflitti, in tal modo consolidando il preoccupante (e drammatico) circolo vizioso nel quale siamo immersi.

I limiti al conflitto, allora, coincidono con la sua trasformazione in opportunità di dialogo; parola abusata, dialogo è da intendersi come “dialogale”, riprendendo gli insegnamenti di Raimon Panikkar, qualcosa che vada oltre l’incontro e il confronto ma che percorra l’oltre, anzitutto in noi, che è il mistero del nostro essere persone umane e soggetti storici.

 

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