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Non solo immigrazione. Tutte le sfide per lo sviluppo dell’area mediterranea

Di Claudio Bertolotti

Mediterraneo, immigrazione e gestione dei flussi migratori sono temi che hanno recentemente impegnato in occasione del vertice di Malta del 23 settembre, i ministri degli interni di Italia, Malta, Francia e Germania, con la presidenza finlandese di turno dell’Unione Europea e la commissione Ue. Un incontro da cui è scaturita un’intesa di massima sulla gestione dei migranti irregolari che chiederanno di entrare in Europa. Apertura dei porti ai migranti irregolari e successiva ripartizione tra i Paesi europei: questi i punti salienti contenuti nella bozza del documento.

Un incontro importante che è seguito, seppur non formalmente, a un altro importante tavolo di confronto e dialogo che su quegli stessi temi ha visto impegnati, questa volta, i ministri della Difesa dei Paesi del Mediterraneo occidentale. Era il 13 dicembre del 2018 quando a Roma, in occasione della presidenza italiana del forum del Mediterraneo occidentale “5+5 Defence Initiative”, i ministri della Difesa dei dieci paesi componenti la “5+5” si riunirono per discutere la possibilità di una strategia condivisa per risolvere il comune problema dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo. Una problematica che ha evidenziato, ancora una volta, i principi fondanti dell’iniziativa di difesa mediterranea, nata per rafforzare la cooperazione multilaterale e promuovere la sicurezza del Mediterraneo occidentale, attraverso lo sviluppo di iniziative concrete e un programma di azione annuale. Dei Paesi che aderiscono all’iniziativa cinque sono europei (Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Malta) e cinque africani (Marocco, Algeria, Libia, Mauritania e Tunisia). Ciò prevede, a monte di un confronto politico e tecnico tra ministri della Difesa e capi di Stato Maggiore dei rispettivi Paesi, un impegno analitico e predittivo in cui entra in gioco il gruppo di ricerca composto da un ricercatore per ognuna delle Nazioni componenti l’Iniziativa di Difesa a cui si affianca lo sviluppo di attività militari congiunte, in particolare tra quelle addette al controllo marittimo e le Forze Speciali.

Il tema di ricerca sviluppato dal team internazionale di cui lo scrivente e ricercatore unico per l’Italia dal 2015, si è posto l’obiettivo di rispondere alla domanda: “Quale approccio e quali soluzioni devono essere implementate nella difesa e nella sicurezza del Mediterraneo per contenere l’immigrazione illegale e contrastare le reti criminali ad essa collegate all’interno dell’area 5+5”. Nell’ampio contesto dello studio, i ricercatori si sono concentrati su un tema di rilevante attualità: gli “Effetti dei cambiamenti climatici sul fenomeno dei flussi migratori di massa dal continente africano”

L’attività di ricerca guidata dall’Italia attraverso il coordinamento di Andrea Carteny, direttore del Cemas  presso l’Università La Sapienza, si è focalizzata proprio su quelle tematiche che maggiormente impegnano i governi dell’area mediterranea, e su cui sono concentrate le opinioni pubbliche dei rispettivi Paesi. Il principale di questi è il fenomeno dei flussi migratori, inteso non come emergenza a breve termine, un approccio ormai fuori discussione, bensì come fenomeno strutturale di portata continentale e di lungo periodo e le cui cause sono molteplici, e tra queste certamente quella dei cambiamenti climatici. Un fenomeno all’interno del quale va ad inserirsi, con crescente preoccupazione, quello dell’immigrazione clandestina che dal continente africano si sposta verso l’Europa e l’Italia, attraverso l’area del Nord Africa, pur non dimenticando la massa migratoria interna all’Africa.

I cambiamenti climatici da sempre – come ha evidenziato il gruppo di ricercatori –hanno condizionato la storia dell’umanità, che si è adattata o è stata indotta a trasferirsi altrove. Difficile pensare che questa dinamica possa essere contenuta all’interno di perimetri, politici, sociali o militari, definiti e rigidi. È importante – continua il documento di ricerca – considerare gli effetti diretti dei cambiamenti climatici, in primo luogo il deprezzamento e la limitazione nell’utilizzo di terreni agricoli e pastorali, da cui derivano l’aumento di pressione sulla sicurezza alimentare, l’accentuazione dei disequilibri territoriali e l’allargamento di “zone grigie” sempre più difficili da controllare da parte degli Stati. In secondo luogo, da una situazione che può degenerare in crisi, si impone l’accentuazione di rivalità interstatali per l’accesso alle risorse naturali, quali acqua ed energie fossili. Da ciò derivano le minacce dirette alla sicurezza interna ed esterna degli Stati: la vulnerabilità delle frontiere, il terrorismo e, in particolare, la criminalità organizzata che ha approfittato delle fragilità strutturali del Nord Africa, in combinazione con i fattori scatenanti dei flussi migratori, per creare un redditizio business che ha sostituito, stravolgendole, una parte importante delle economie nazionali, in particolare in Niger e in Libia.

In tale quadro di progressivo sgretolamento degli equilibri politico-sociali ed economici, i fenomeni migratori di massa, interni e transfrontalieri, divengono una naturale conseguenza che non può essere affrontata attraverso approcci strategici che si concentrino sulla massa migratoria, lasciando inevasa la necessità di intervento sulle cause prime che si fondano sulla stabilità interna, in primis economica, degli stati africani.

Quel documento di ricerca, presentato ai ministri della Difesa e da questi vivacemente discusso, si conclude con una serie di raccomandazioni proposte dei singoli ricercatori; proposte che, pur non rappresentando un elenco concordato e condiviso da tutti i paesi, rappresentano la base per un dialogo finalizzato alla realizzazione di una strategia comune d’azione.  Tra gli aspetti ritenuti di maggiore rilevanza vi è quello di limitare il ruolo autonomo e non coordinato di attori non statali nella gestione dei flussi migratori, aprendo, al contrario, a canali di migrazione legale verso i Paesi dell’Unione Europea; inoltre, un altro duplice approccio suggerito, insiste sulla necessita, da un lato, di accedere ai fondi dell’Ue per le migrazioni “2012-2027” e al “Fondo fiduciario per l’Africa” dell’Unione al fine di coinvolgere i paesi nordafricani partecipanti alla “5+5” e, dall’altro lato, di organizzare e sostenere i centri di assistenza al ritorno dei migranti nei paesi del Sahel.

Tra le raccomandazioni più rilevanti e maggiormente condivise ve n’è una, in particolare, che non ha trovato riscontro nel vertice di Malta del 23 settembre: la necessità di definire una nuova politica di prossimità e di vicinato tra l’Unione europea e i paesi della sponda sud. L’auspicio è che ciò possa avvenire e in tempi brevi, coinvolgendo anche i ministri della Difesa e degli Affari Esteri.

Ma tutto ciò sarà possibile solamente se la Libia sarà coinvolta in maniera concreta in un processo di stabilizzazione e ricostruzione dello Stato, in primis, e delle infrastrutture strategiche del Paese. Altro tema non affrontato dal vertice di Malta – in parte poiché iniziativa focalizzata su questioni di sicurezza interna ai paesi europei – ma considerato primario dalla “5+5 Defence Initiative”.

 

Claudio Bertolotti è direttore di Start Insight



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