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Perché è interessante il Nobel per la Chimica (oltre i luoghi comuni)

Di Raffaella Ocone

Leggere la lista dei premi Nobel è sempre un esercizio interessante. La chimica, in particolare, ha da sempre avuto un posto speciale nei miei interessi: sebbene sia convinta che un ingegnere chimico in genere applica la fisica più che la chimica, alla denominazione del titolo non si scappa. Così come non si scappa alla convinzione (luogo comune, ahimé’) che noi ingegneri chimici riteniamo di essere gli unici, tra tutti gli altri ingegneri, a capir di chimica! Altro luogo comune è stato a lungo che gli ingegneri non vincano premi Nobel. Fortunatamente, questo mito è stato sfatato l’anno scorso con l’assegnazione del Nobel per la chimica a Frances Arnold, un ingegnere chimico che lavora a Caltech (e con cui condivido l’elezione al Royal Academy of Engineering e l’educazione a Princeton).

L’annuncio oggi del Nobel per la chimica a John Goodenough, Stanley Whittingham e Akira Yoshino per l’invenzione delle batterie al litio è senz’altro al passo con i tempi. In effetti, l’uso dell’elemento litio ha fatto si che le batterie siano leggere, quindi facilmente trasportabili: una caratteristica che ha reso possibile l’enorme sviluppo dei telefoni portatili, dei pacemakers, dei videogiochi, dei computers, etc. Se però le applicazioni che ho appena citato sono quelle che tutti abbiamo davanti agli occhi, l’invenzione delle batterie, in generale, ha una risonanza enorme in questo particolare momento storico data la loro rilevanza nel dibattito attuale sul cambiamento climatico e le energie rinnovabili. Senza la possibilità di immagazzinare energia, non c’è’ infatti posto per l’eolico o il solare cosi come non c’è possibilità di limitare l’uso dei combustibili fossili: un mondo senza fili non potrebbe esistere senza l’invenzione delle batterie. Plauso alla scelta di Stoccolma, quindi!

Ciò che trovo anche molto interessante, oltre alla scelta specifica, è il commento di Goodenough, uno dei vincitori: “Quando inventammo la batteria, non sapevo cosa gli ingegneri avrebbero fatto con essa. Non potevo anticipare i telefoni portatili e tutto il resto”. Questa affermazione mi riconduce al tema con cui ho aperto questo mio articolo: l’interesse che ha per un ingegnere leggere la lista dei Nobel. Non si può negare, infatti, che sono le applicazioni che fanno la fortuna di una scoperta. Tuttavia, se è estremamente importante che le scoperte possano avere un impatto pratico, senza ricerca pura non ci sarebbe progresso. Questo è il motivo per cui, in un’epoca in cui i fondi per la ricerca pura scarseggiano, è importante non dimenticare che, senza gli scienziati, la tecnica e l’ingegneria avrebbero vita corta. Così come, senza la tecnologia e la traduzione in soluzioni pratiche delle scoperte scientifiche, il mondo in cui viviamo non esisterebbe. È un rapporto biunivoco. Voglio perciò augurarmi che il richiamo ai telefoni portatili e ai videogiochi serva non solo ad attirare più giovani (soprattutto donne) a studiare scienza e ingegneria, ma anche a far sì che tutti possano desiderare di essere più tecnologicamente attrezzati (Perché promuovere a scuola il financial literacy e non quell’energy literacy che potrebbe aiutarci a essere più energeticamente efficienti, contribuendo così a combattere il cambiamento climatico?).

L’altra considerazione da fare è che il sapere umano non può essere ingabbiato in discipline rigidamente definite: solo quando il lavoro di ricerca è multi- e trans-disciplinare si fanno scoperte che apportano un impatto concreto nella vita quotidiana. Ne discende, come corollario, che lavorare isolati porta gli scienziati a limitare le proprie possibilità di successo. Non è pertanto un caso che, guardando la lista dei Nobel per la Chimica, ci si renda conto che il premio viene assegnato molto più frequentemente a gruppi di ricercatori che non a un singolo scienziato. Andrebbe poi anche analizzato se ciò è una conseguenza della globalizzazione delle idee o piuttosto della possibilità di accedere in questo modo con più facilità alle risorse necessarie per fare ricerca. Ma il discorso si farebbe in questa occasione troppo complesso.

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