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Perché sono contrario al taglio dei parlamentari

Non scriverò molto sull’approvazione alla Camera, quasi all’unanimità, del taglio del numero dei parlamentari. Ma qualche cosa devo dirla. Sarò controtendenza e attirerò probabilmente le antipatie di qualcuno e il rimprovero di molte compagne e compagni di partito, ma reputo questa scelta un errore politico. Come lo è stato l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti.

Perché tagliare la rappresentanza non è tagliare gli sprechi

Nell’affermazione per cui il taglio del numero di seggi al Parlamento equivale a un taglio degli sprechi e/o dei costi sta già il motivo per cui sono contrario. La democrazia per funzionare bene ha bisogno di strutture, rituali e risorse, tantissime, umane, intellettuali ed economiche.

Considerare il mantenimento di un certo numero di elette ed eletti come uno “spreco” equivale a sminuire il senso stesso della democrazia e soprattutto annichilire il principio della rappresentanza. Che, è bene ricordarlo, è il principio base delle moderne democrazie occidentali.

Significa che una modifica del numero delle elette e degli eletti in Parlamento debba restare un tabù? No. Significa affrontare la questione con responsabilità, visione e consapevolezza che tagliare un numero X di seggi non comporterà né un miglioramento in automatico della qualità della democrazia  (anzi, temo il contrario) né un effettivo risparmio di risorse per le casse pubbliche.

Significa invece intaccare la possibilità per intere comunità di avere una voce nell’Assemblea massima della politica della nazione. Questo è certamente vero, per esempio, per le piccole regioni e per l’Estero, che vede la sua già assai modesta rappresentanza (18 elette/i a fronte di oltre 5 milioni di residenti AIRE) dimezzata letteralmente.

Questo è vero soprattutto alla luce di una totale assenza di proposta per la riforma complessiva sia della legge elettorale sia del sistema costituzionale che prevede, da noi, un bicameralismo perfetto e un sistema parlamentare.

Infine, è un errore l’approvazione da parte delle forze democratiche, di destra e sinistra, perché rappresenta il cedere davanti a istanze inconsistenti e populiste che vogliono raggiungere un obiettivo assurdo e irrealizzabile come la democrazia diretta, spacciando quindi tutto ciò che non lo è come negativo, malvagio, dannoso, uno spreco, appunto.

In conclusione, aver deciso di votare a favore è 1) un errore politico, perché viene meno la difesa di un principio democratico della rappresentanza, svilito e ridotto a “spreco” in una retorica populista spicciola, 2) una mancanza di visione, perché non si ha in mente nessun progetto coerente di riforma complessiva del sistema e si è pensato più alla tenuta di un governo che non alla tenuta di un sistema nel suo insieme.

Sbagliare è umano, perseverare è diabolico

Questa scelta che valuto negativa e sbagliata segue ad un’altra scelta negativa e sbagliata: l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Perché? Di nuovo, non solo perché accosta il costo della democrazia allo “spreco”, ma perché ha aumentato le disuguaglianze di rappresentenza. Se non c’è una struttura che ha le risorse sufficienti per una campagna elettorale, messe a disposizione dallo Stato, chi accede alle candidature e soprattutto chi ha maggiori possibilità di essere eletta o eletto? Una risposta semplice, banale: chi ha i soldi per farlo, o che ha i contatti giusti che permettano la racocolta delle risorse necessarie per investire decine e decine di migliaia di euro in una campagna elettorale che si rischia di perdere.

Questo comporta che persone attive nei partiti con redditi bassi o estrazione sociale medio-basse non potranno concorrere democraticamente a quelle posizioni sia perché non ci sono le risorse per sostenere quei rischi, sia perché loro non hanno un capitale da poter investire rischiando di perderlo in toto, sia perché non ci sono i meccanismi chiari, democratici e trasparenti che impongano ai partiti regole di funzionamento condivise. E arrivo all’ultimo punto.

La legge sui partiti e una legge elettorale seria 

Come sempre è più facile intervenire distruggendo ed eliminando in toto qualche cosa piuttosto che intervenire in senso pro-attivo. Il finanziamento pubblico e il numero dei parlamentari sono di per sé un non problema. Il problema è come viene selezionata la classe dirigente da un lato, e quindi la qualità di elette ed eletti, e il modo in cui vengono raccolte le risorse e soprattutto usate.

Per questo, non andava né abolito il finanziamento pubblico né tagliato il numero dei parlamentari – ma discussa una seria legge sui partiti che prevedesse un sistema di standard minimi democratici di funzionamento, di selezione delle candidature, procedendo con un sistema alla tedesca di coinvolgimento delle assemblee territoriali, poi regionali per la composizione delle liste. Dove sia garantita la competizione tra idee e proposte senza il peso, che comunque resta, dell’influenza individuale o familiare, ossia dell’avere le risorse economiche e sociali per garantirsi una nomina e una candidatura.

E allo stesso modo serviva (serve) discutere di una legge elettorale che duri nel tempo che sia capace di garantire rappresentanza ai territori e stabilità. Il modello tedesco è per me sempre il più adeguato: 50% di seggi con elezione diretta uninominale e un 50% di seggi eletti con il proporzionale in liste bloccate composte, però, secondo le regole di una legge ad hoc che regoli le modalità per tutti i partiti che concorrono. Come in Germania.

Il tutto, ovviamente, con uno sbarramento che non può che essere tra il 4 e il 5%. Per evitare i giardinetti di casa, gli appetiti di qualche leader decotto che vuole “contare” ancora, e appunto l’ingovernabilità.

Temo che questi siano obiettivi troppo alti e complessi per la politica italiana di oggi. Mi rammarico di queste scelte e spero in processo di tutt’altro segno in futuro. Servono le risorse per far funzionare dei partiti in modo democratico, servono procedure trasparenti per la contabilità e la selezione delle candidature, servono votazioni a seguito di discussioni nei territori per garantire rappresentanza interna ma anche partecipazione attiva alla vita politica del paese, e servono regole del gioco chiare e stabili che non siano pensate e votate per favori o sfavorire qualcuno, quindi una legge elettorale come quella sopra-esposta.


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