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Phisikk du role – Voto ai sedicenni: gli immaturi sono i politici

Come si fa a non innamorarsi di questi ragazzi che ritornano a dare un senso alle piazze che non sia il rito catatonico della partecipazione al concerto del più sfigato rapper in circolazione? E l’innamoramento, si sa, è una specie di cortocircuito che ottunda la mente, fa entrare le farfalle nella pancia e tinge di rosa tutto il creato. Sarà per questo ottundimento, allora, che nel giro di un amen tutta la politica politicante, da destra a sinistra al centro, andata e ritorno, ha dichiarato che è pronta, subito, a dare il voto ai sedicenni.

La questione in sé meriterebbe di essere discussa senza pregiudizi ideologici ma con un approccio serio e non strumentale, se non fosse che, come sempre, la politica italiana si dimostra soggiogata solo da emotività e voglia di compiacere il “pubblico”. Ma come? Una corsa forsennata a dire per primi che bisogna far diventare elettori gli adolescenti, quando da 44 anni si cancellano i diritti costituzionali di qualche milione di elettori, i diciottenni che votano alla Camera ma, per qualche misteriosa ragione che tutti si sono dimenticati di raccontare (e di riparare), sono tagliati fuori dalle liste dei votanti per il Senato?

È veramente singolare il dibattito pubblico italiano degli ultimi anni: è l’inseguimento della cronaca e di ciò che si presume, secondo quel che dicono i sondaggisti, possa essere il “gusto” politico dell’elettore, secondo lo schema tipico del prodotto commerciale. Invece che il popolo sovrano, c’è il “pubblico” sovrano, inteso come massa di clienti potenziali cui consegnare il “prodotto politico” secondo il packaging più accattivante. In questo pericoloso rimando di presunzioni consegnate dalla sapienza del marketing commerciale, la scelta politica annega e con essa anche il rapporto vero col popolo. Già, perché la fine dei partiti politici ha spezzato anche il rapporto con il territorio (chi nel territorio conosce più la rappresentanza parlamentare?) virtualizzando ogni collegamento.

Nel merito: i sedicenni votano in Austria, in Argentina e in Brasile (dove esiste, però, il voto obbligatorio dai 18 anni in su), in alcuni Länder in Germania, in Scozia, in Norvegia, però nelle elezioni locali. Ci vogliono 17 anni invece per votare in Grecia e in alcuni paesi del Sud Est asiatico, oltre che in Etiopia e Sudan. In quasi tutti i paesi che poggiano sull’esperienza del parlamentarismo e della liberal-democrazia, il voto è concesso a partire dai 18 anni. Non c’è dubbio che oggi i sedicenni abbiano tra le mani strumenti più forti e sofisticati per attingere informazioni rispetto ai loro coetanei di qualche decennio fa. Ma questo non basta; per esempio: come si fa per questi ragazzi più giovani persino dei loro fratelli millenians, a districarsi nell’overdose quotidiana di notizie vomitata dal web che è consustanziale alla vita stessa delle giovanissime generazioni?

Per il momento mi accontenterei di restituire ai fratelli più grandi di due anni il diritto spezzato del voto per palazzo Madama. Domanda: ma poi, siamo proprio sicuri che i sedicenni vogliano questo voto e non, per esempio, un po’ di formazione politica che dovrebbe dare contenuto alle scelte da compiere?


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