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Che fine ha fatto la task force Cina? Michele Geraci risponde a Formiche.net

Rifarebbe tutto, Michele Geraci. O quasi. Il sottosegretario leghista uscente allo Sviluppo Economico conosciuto al grande pubblico per aver curato per il governo gialloverde i rapporti economici e politici con la Cina di Xi Jinping va fiero del suo anno al Mise. Dal discusso memorandum sulla Via della Seta firmato con il governo cinese al dossier 5G, Geraci rivendica il lavoro fatto. E vuole replicare a Formiche.net, che ha dedicato un articolo alla “task force Cina” da lui messa in piedi al ministero, per poi scomparire dalle cronache. Ecco il suo bilancio.

Geraci, che fine ha fatto questa task force?

Alcune precisazioni. La task force ha un anno, non due. Si è riunita quattro, cinque volte, non due, come hanno scritto i suoi colleghi. Il mio giudizio sul lavoro svolto è di moderato ottimismo.

Concorderà che non ha fatto faville.

Non sarà stato un grande exploit per diversi problemi logistici legati anche alla poca flessibilità della pubblica amministrazione, alla scarsità di fondi da poter metter a disposizione ed altro. Non dimentichiamo che io gestivo rapporti commerciali anche con gli altri 180 paesi del mondo. Ma i risultati non si possono vedere in pochi mesi. Chi pensa il contrario dimostra di non conoscere la Cina e i suoi tempi di risposta.

Lei sicuro la conosce bene.

Ci ho vissuto e insegnato per dieci anni, insegno all’Università anche in mandarino, ho viaggiato per tutto il Paese. Un milione e mezzo di chilometri percorsi via terra. Con ciò ho tantissimo da imparare, anzi più si studia, più si aprono nuovi vasi di Pandora. Tanti commentatori e giornalisti italiani scrivono con insistenza e pontificano sulla Cina senza mai averci mai vissuto né sapere una parola in cinese, né fanno lo sforzo di informarsi bene prima di parlare.

Insomma, i tempi cinesi sono lunghi. Ma i risultati dove sono?

Ripeto, chi già critica non conosce la Cina. Lì il mondo del business ragiona sul lungo periodo. La Standard Chartered è in Cina da più di 150 anni, è sopravvissuta alla caduta dell’impero, alla guerra civile, alla rivoluzione culturale. Con la task force il governo ha dato il la, ora sono le aziende che devono prendere l’iniziativa e approfittare di questa finestra temporale, prima che sia troppo tardi. Il mio supporto ci sarà sempre per chi mi contatterà.

Tornasse indietro ripeterebbe proprio tutto, anche la firma del famoso memorandum sulla Via della Seta?

La firma del Memorandum, senz’altro. Sono contento di quanto abbiamo fatto, avremmo potuto fare di più e meglio, sarà per la prossima volta. Siamo riusciti a far parlare di Cina come mai prima in Italia, anche se molto di quello che ho letto non sta in piedi. Non importa, dal caos nascerà la verità. Spero che con la mia assenza temporanea al governo non si perda questo capitale.

Dunque se la Lega tornerà al governo lei continuerà ad occuparsi di cose cinesi?

Questo lo decideranno gli italiani quando potranno. Io non mi occupo di “cose cinesi” ma della promozione del commercio verso tutti i paesi del mondo. Cina, ovviamente, insieme ad altri Paesi di cui son si parla spesso, come Giappone, Corea, India, ma anche America, che è uno dei più importanti mercati di sbocco e non va più ignorata come prima.

C’è chi parla di svolta atlantista del Carroccio…

Non c’è stata nessuna svolta atlantista perché la Lega non ha mai voltato le spalle all’America. In nessun momento mai si è messa in discussione la nostra alleanza.

In molti hanno avuto questa impressione, anche in Parlamento.

Mentre l’opposizione emanava slogan, io mi sono messo più volte sull’aereo verso Washington dove ho negoziato personalmente con gli amici americani l’abbassamento dei dazi sui nostri prodotti salvaguardando quattro miliardi di export, compresi i nostri vini, portando quindi un risparmio di parecchie centinaia di milioni di euro. Pensi che c’era una parte della stampa che si dilettava a calcolare le nostre spese di viaggio di qualche migliaia di euro, senza mai paragonarle al valore multi-milionario delle nostre missioni all’estero. Che tristezza.

A distanza di sei mesi da quel memorandum l’Italia è citata ogni tre per due dalla stampa del governo cinese come esempio virtuoso da seguire. Non è un danno d’immagine?

Danno? Tutt’altro. Questa pubblicità va a nostro vantaggio. Abbiamo buttato il pallone nel campo del governo cinese, che così assume su di sé l’onere della prova. Adesso deve dimostrare al mondo, in Italia, perché la Via della Seta è un progetto vantaggioso. È stata una tattica negoziale efficace, credo, anche se anomala. Ma proprio qua sta la differenza di quando si tratta con la Cina e l’Asia in generale.

Quell’adesione italiana continua a far discutere.

Ma basta. Ormai è fatta, invece di criticare, si passi a farne buon uso. In inglese si dice “Don’t worry to make the good decision, rather make the decision good”. Ricordo invettive molto pesanti dell’opposizione perché non ero considerato credibile per negoziare con la Cina. Oggi non sono più al governo eppure molte aziende italiane in Cina hanno chiesto a me di dar loro una mano alla fiera di Shanghai, perché hanno compreso chi ha più leva per promuovere il loro export.

Di Maio è entrato a gamba tesa alla Farnesina traslocando dal Mise il Commercio estero. Ha fatto bene?

In teoria è una buona mossa, in pratica può presentare qualche problema. I direttori dei vari uffici Ice in giro per il mondo ora dovranno rispondere agli ambasciatori, è un rapporto gerarchico inedito. Sento anche che qualcuno vorrebbe separare le divisioni promozione e politiche commerciali per far contente le varie forze politiche rappresentate al ministero degli esteri. Sarebbe un grave errore, la materia richiede un approccio unitario, come ho sempre perseguito.

Ad esempio?

Subiamo dazi statunitensi sul parmigiano? Bene, il piano straordinario Ice può essere usato per mitigarne gli effetti negativi, idem per la Brexit e altri dossier. Separarli significherebbe mettere la priorità dei partiti davanti agli interessi del paese, e quindi sono sicuro che non succederà.

Che pensa invece del nuovo capo di gabinetto della Farnesina, l’ex ambasciatore in Cina Ettore Sequi?

Una persona molto equilibrata, uno dei nostri ambasciatori più bravi. Ha trascorso quattro anni in Cina, ma ha un curriculum ben più ampio che tornerà utile alla Farnesina.

Torniamo al memorandum. Perché inserire le telecomunicazioni nei settori di cooperazione dopo tanti moniti in senso contrario?

Il Mou che abbiamo firmato comprendeva tanti settori di cooperazione. L’Ue, al termine dell’Eu-China Summit a Bruxelles lo scorso giugno, ha diramato un comunicato finale in cui cita esplicitamente il 5G fra le materie di cooperazione con Pechino. Nel nostro Mou si parla solo di settore delle telecomunicazioni. Ma non ho visto critiche feroci nei confronti di Bruxelles.

A proposito di 5g, fosse stato per voi il decreto legge per estendere alla banda larga il golden power sarebbe rimasto lettera morta.

Non è vero. Io l’avrei messo subito sul tavolo. Sono della Lega, la protezione dei nostri asset e la sicurezza nazionale sono per me due assolute priorità, verso tutti i paesi, non solo Cina.

Le piace il nuovo decreto cyber approvato dal governo?

Non solo, credo che il perimetro di sicurezza vada allargato un po’ di più, includendo sotto l’ombrello protettivo anche la viability economica del Paese. Lo estenderei alle fusioni e acquisizioni delle micro-aziende italiane da tre, quattro dipendenti che spesso finiscono sotto il radar e invece sono cruciali perché chiamano in causa competenze preziose che dobbiamo difendere. So che è difficile, ma ne ho teorizzato una possibile implementazione in uno dei miei videocast sul cosiddetto “Piano Geraci”.

Che idea si è fatto delle accuse internazionali che gli Stati Uniti e diversi Paesi alleati hanno mosso a Huawei?

Stiamo assistendo anzitutto a uno scontro filosofico fra Occidente e Oriente e Huawei, una delle più avanzate e potenti aziende cinesi, ci è caduta in mezzo. Accadrà lo stesso con tante altre società di computer e logistica dell’uno e dell’altro Paese. Io preferisco aspettare di leggere report tecnici che delineano in modo chiaro i rischi piuttosto che sentenziare a priori.

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