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Un double-check alla situazione del conservatorismo (sempre che esista) in Europa e in Italia

Il prossimo 16 novembre a Roma avrò il piacere e l’onore di introdurre e moderare una conferenza organizzata insieme al bravissimo Francesco Giubilei, sullo stato del conservatorismo in Europa. Il panel internazionale ospiterà S.E. l’ambasciatore d’Ungheria presso la Santa Sede, Edoardo D’Asburgo-Lorena, Misa Djurkovic (direttore dell’Istituto di Studi Europei di Belgrado), Wolfgang Fenske (direttore della Biblioteca del conservatorismo di Berlino) e Mario Alvino Fantini, direttore della prestigiosa rivista The European Conservative.
L’occasione mi stimola diverse riflessioni sulla situazione italiana e sulla reale esistenza in Italia di un pensiero conservatore o liberal-conservatore. Non credo che esista oggi una “scuola”. Nonostante l’Italia abbia una tradizione di pensatori, intellettuali, giornalisti e scrittori conservatori o liberal-conservatori – Giuseppe Prezzolini, Leo Longanesi, Indro Montanelli, Giovannino Guareschi, Augusto Del Noce, solo per citarne alcuni peraltro ciascuno con le proprie specificità – oggi manca (o stenta ad esprimersi) un cluster di pensiero, per quanto evidentemente non manchino singoli intellettuali di straordinaria portata (e penso su tutti al Prof. Marcello Pera).
Anticipo che una domanda che rivolgerò agli illustri ospiti in sede di conferenza sarà il legame tra un possibile milieu conservatore (e la sua vivacità, la sua fertilità, fino alla sua efficacia…) ed il ruolo dell’autorità morale, evidentemente riconducibile al Papa per un cattolico (magari solleticando riflessioni su prima e dopo il Concilio Vaticano II, o più nell’immediato prima e dopo il 2013).
Parlando di conservatorismo non si può prescindere da Russell Kirk ed il suo “The Conservative Mind” (1953), testo di riferimento sul conservatorismo nel Novecento (sulla scia delle “Riflessioni sulla Rivoluzione Francese” di Edmund Burke, 1790), un’opera che ha peraltro finalmente trovato un’ottima pubblicazione italiana grazie alla Giubilei Regnani.
Secondo Kirk il conservatorismo non è un’ideologia, bensì uno stato d’animo, un habitus, un insieme di sentimenti piuttosto che di dogmi ideologici.
Kirk – ha scritto il suo maggior studioso italiano, Marco Respinti, nel decennale della sua scomparsa – è stato il padre, l’anima e il cuore della rinascita del conservatorismo negli Stati Uniti d’America a metà degli anni Cinquanta, ovvero l’uomo che ha ridato dignità politica e cittadinanza a un termine allora desueto e sgradito all’orecchio dei più (…) colui che, ripercorrendo una storia lunga e complessa, ha battezzato conservatorismo quella forma mentis che (…) descrive la volontà caparbia e ostinata di chi prima di disfarsi del retaggio e del fardello della civiltà occidentale ci pensa bene e poi, comunque, rinuncia“.
Ora, proviamo a misurare lo stato del conservatorismo in Italia (ma l’esercizio è mutuabile all’interno di qualsiasi altra realtà organizzata) riferendoci ai dieci principi comuni che secondo Kirk distinguono un conservatore.
1. Il conservatore crede che esista un ordine morale duraturo. Dove ordine è armonia, dove la realtà umana è costante e le verità morali sono permanenti (wow, un cattolico modernista alla Karl Rahner che ha tanto apprezzato il recente Sinodo Amazzonico qui già getterebbe la penna indignato!).
2. Il conservatore aderisce alla consuetudine, alla convenzione e alla continuità. Non c’è affatto rifiuto del progresso – come qualche sedicente intellettuale del politicamente corretto può sostenere – ma al contrario il progresso deve essere gestito in modo prudente e graduale con finalità di interesse per l’Uomo (dove l’Uomo non è un banale bacillo).
3. Il conservatore crede nel cd. principio della prescrizione. Usi e diritti del passato hanno una loro valenza prescrittiva.
4. Il conservatore è guidato dal principio della prudenza. Le riforme improvvise presentano rischi di per sé, occorre valutazioni attente soprattutto sulle conseguenze del lungo termine.
5. Il conservatore apprezza il principio della varietà. La diversità è un valore positivo, ognuno ha diritto ad affermarsi, ma i risultati vengono raggiunti dai più meritevoli. La diversità si oppone all’egualitarismo.
6. Il conservatore conosce l’imperfettibilità dell’uomo. Conseguentemente non si propongono utopie ideologiche (né, di questi tempi, eresie…).
7. Il conservatore crede che libertà e proprietà privata siano strettamente collegate. Le grandi civiltà sono costruite sulla base della proprietà privata e della libera iniziativa economica (non dimentichiamo Einaudi). Il livellamento economico non coincide con il progresso economico.
8. Il conservatore sostiene la comunità volontaria e si oppone al collettivismo imposto. Nella comunità organizzata le scelte legate alla vita dei cittadini sono prese in via volontaria. Nel momento in cui interviene un’autorità centralizzata, la comunità è in pericolo.
9. Il conservatore sente la necessità di limitare il potere. L’esecuzione delle leggi essenziali come strumento di libertà e ordine è un aspetto che ogni governo dovrebbe fare.
10. Il conservatore crede fermamente che permanenza e cambiamento debbano essere riconosciuti e conciliati. Ogni società sana è influenzata da permanenza e cambiamento; quest’ultimo è essenziale, ma va ponderato.
I dieci punti di Kirk meritano oggi un double-check, non tanto come esercizio di stile o per propositi accademici, ma al fine di testare il grado di salute della società, lo stato confusionale in cui essa versa e magari offrire – attraverso valori pre-politici o meta-politici – voce e credibilità a un ambito che sembra aver smarrito la propria strada.

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