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Che cosa destabilizza (ancora) Siria e Medio Oriente. La visione di Belfer (Egic)

Di Giulia Altimari

Il Mediterraneo rappresenta uno spazio geopolitico estremamente importante che negli ultimi anni ha visto aumentare notevolmente le situazioni di crisi e di instabilità al suo interno, che hanno risvolti importanti anche in Medio Oriente, come dimostra il perdurare della crisi siriana. A spiegarlo è Mitchell Belfer, Presidente dell’Euro-Gulf Information Centre (Egic), che in una conversazione analizza i focolai di tensione presenti nel Mediterraneo e gli effetti che possono produrre anche rispetto all’area mediorientale.

Belfer, in questi giorni, dopo gli attacchi turchi ai curdi, si torna a parlare di Siria. Che cosa ne pensa della situazione nel Paese e quali sono le sue prospettive per il futuro?

Il regime criminale di Bashar al-Assad ha vinto lo scontro militare. La vittoria è arrivata grazie al massiccio sostegno dell’aeronautica di Mosca, all’impiego in prima linea di milizie filo-iraniane e all’aiuto del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (Irgc). Dopo la fine dei combattimenti, possiamo aspettarci che il regime continui con la repressione sotto forma di arresti di massa e violenza contro quello che resta della popolazione siriana. Iran e Russia cercheranno di capitalizzare l’influenza ottenuta in Siria e manterranno una propria presenza militare nel Paese. Sarebbe difficile predire che implicazioni avrà tutto questo sulla sicurezza della regione anche possedendo una palla di vetro.

I paesi del Golfo che ruolo ricoprono all’interno dello scenario siriano?

Negli ultimi 4-5 anni, i Paesi del Golfo si sono tirati fuori dalle vicende siriane, fatta eccezione per il Qatar, che continua a supportare il fronte al-Nusra e i gruppi da esso derivati. Tuttavia, anche questo sostegno avviene ormai in misura ridotta. Nonostante il supporto di Doha alle milizie che sono anche appoggiate dalla Turchia, gli ultimi ribelli saranno presto costretti ad abbandonare la provincia siriana di Idlib.

Cosa c’è dietro le rivalità tra Iran e paesi del Golfo e come questo influenza le relazioni attuali tra questi paesi?

Storicamente le relazioni tra l’Iran e i Paesi Arabi del Golfo sono sempre state tese. Nel 1971 lo Shah di Teheran aveva occupato l’isola emiratina di Abu Musa. Tuttavia, è la Rivoluzione Islamica del 1979 che definisce le relazioni odierne. Questo è perché gli Ayatollah iraniani hanno dato priorità all’esportazione della Rivoluzione ed aspirano all’occupazione del Bahrein, oltre a rivendicare porzioni di territorio in tutto il Golfo. La Repubblica Islamica si serve di azioni militari clandestine e di persuasione ideologica per guadagnarsi il supporto della popolazione Sciita nel Golfo ed in tutto il Medio Oriente. Tutti i più recenti capitoli del contrasto arabo-persiano trovano origine con la Rivoluzione del 1979. Sono convinto, che se la Rivoluzione fosse rimasta dentro i confini dell’Iran, le relazioni si sarebbero sviluppate diversamente. L’attuale obbiettivo iraniano di rovesciare i governi dei Paesi arabi nel Golfo, fa della rivalità attuale uno scontro tra un regime revisionista e chi invece cerca di mantenere lo status quo attuale e la stabilità della regione.

Cosa ne pensa dell’avvicinamento tra le monarchie del Golfo e Israele?

La relazione attuale si basa su una cooperazione tattica e interessi comuni. Non c’è interesse né da una parte né dall’altra a sviluppare la relazione oltre a quella che è una stretta necessità di comodo. Questo stato di cose, potrà solo cambiare se Israele cambierà atteggiamento nei confronti dei palestinesi. Fino a quando la questione israelo-palestinese non verrà risolta, le relazioni arabo-israeliane rimarranno per lo più congelatenonostante la comune minaccia rappresentata dall’Iran.

Nel contesto di crisi nello scenario mediorientale che ruolo ricoprono Stati Uniti e Russia?

In breve, gli Stati Uniti sono in fase di ripiegamento e in progressiva uscita dal Medio Oriente. Decenni di coinvolgimento in Iraq e Afghanistan, hanno convinto l’establishment politico e militare di Washington della necessità di disimpegnarsi dalla regione. Tuttavia, è ancora presto per dire se il ruolo Usa come guardiano dell’ordine globale sia veramente giunto alla fine. Il ruolo russo nella regione è sicuramente in ascesa. Al momento, però, risulta difficile intravedere una strategia da parte del Cremlino per sostituirsi agli Stati Uniti. I coinvolgimenti russi sono, ad oggi, frutto di opportunità che la Russia coglie per assicurare la crescita economica domestica attraverso una politica estera più asservita. È lecito aspettarsi che nel medio-lungo periodo, Mosca si accontenti di vedersi garantito l’accesso illimitato al Mediterraneo e il transito tra il Mediterraneo stesso e le sue basi navali situate sulle coste del Mar Nero.

In generale, nel Mediterraneo in questo momento si trovano alcuni focolai di tensioni e crisi molto rilevanti. Quali sono secondo lei quelli più gravi anche per gli effetti che possono produrre su tutta l’area?

Il Mediterraneo è e sarà sempre al centro degli interessi Europei, dei paesi Medio Orientali e internazionali. È necessario dividere gli effetti della crisi in tre diverse categorie: geopolitici, socio-economici e l’impatto dei non-state actors, come i movimenti transnazionali e gruppi terroristici. In termini geopolitici, il problema più ingombrante sembra essere l’affermarsi di Russia ed Iran come attori mediterranei. La guerra civile siriana e l’“annessione” russa della Crimea hanno aperto un nuovo teatro strategico nel quale i russi hanno circondato la Turchia da nord asud, e il conflitto siriano ha permesso, tanto a Mosca quanto a Teheran, di poter estendere la propria influenza sulle coste del Mediterraneo orientale. Alla luce di ciò, è poco probabile che l’Occidente (UE e NATO) rimangano i padroni incontrastati del Mediterraneo. Per affrontare tale incombente minaccia, c’è bisogno di leadership e capacità d’azione, qualcosa che fino ad ora i paesi europei hanno dimostrato di non avere.

Quali, invece, i risvolti socio-economici?

Per quanto riguarda gli aspetti socio-economici, gli Stati deboli o falliti sulle coste del Mediterraneo, specialmente in Nord Africa e in Asia Occidentale, stanno contribuendo alla frattura tra i paesi settentrionali e meridionali dell’Unione Europea, su come tamponare l’emergenza migratoria. La crisi dei migranti, e le sue conseguenze, sono un chiaro esempio di cosa succede quando l’Unione Europea decide di non agire. Attualmente, ci sono quasi 10 milioni di persone che dall’Africa sperano di raggiungere le coste europee. La stabilità dei paesi del Medio Oriente deve essere, per tanto, trattata come una questione di sicurezza prioritaria. Le sponde mediterranee di Nord Africa e Asia Occidentale saranno le prime ad essere interessate dalla nuova ondata migratoria in viaggio verso l’Europa. Alcuni non-state actors sono in grado di sfruttare l’emergenza immigrazione per trovare rifugio in Europa. Sia ben chiaro che nessun migrante è da considerarsi un terrorista (quest’ultima è infatti una narrazione pericolosa e controproducente). Tuttavia, alcuni terroristi si fingono migranti al fine di infiltrarsi in Europa

Dopo la distruzione territoriale del Califfato in Iraq e Siria, combattenti di varie frazioni hanno trovato rifugio nel Sinai e nel Sahel. Queste sono entrambe regioni da cui si verificano migrazioni regolari verso l’Europa. Tale stato di cose fa sì che l’Europa possa diventare più pericolosa in un battito di ciglia.


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