L’esito elettorale del 2018, che ha visto le due forze di natura populista-sovranista premiate, ha indotto i partiti a costruire un governo insieme: il Conte I. I sondaggi elettorali, però, hanno solleticato Salvini ad aprire la crisi (insolita per i tempi di agosto) nella prospettiva di uno scioglimento delle Camere e, quindi, di elezioni anticipate che concretizzassero la forza raggiunta. La crisi aperta, però, si è risolta con un cambiamento di alleanze da parte del Movimento 5 Stelle che, nel suo mutamento di strategia, ha incontrato il Partito democratico. Nell’ultimo anno il Pd aveva rappresentato l’alternativa al populismo-sovranismo, che in modo indifferenziato caratterizzava sia Salvini con la sua Lega sia il M5S di Grillo e Casaleggio.
Anzi, il Pd aveva spinto ciascuna delle due formazioni populiste a rispondere a una domanda fondamentale circa la loro natura, strategia e destinazione, ponendo al M5S un delicato problema: la dipendenza da Rousseau, una società di diritto privato che gestisce la piattaforma con procedure fuori dalla disciplina e dall’ordinamento costituzionale. In altri termini, il Partito democratico ha posto il problema delicato e severo della condizione extracostituzionale di quella formazione. A Salvini e Lega il nuovo esecutivo oppone una linea europeista e di coerenza alle posizioni internazionali che l’Italia ha tenuto nei 70 anni della vita democratica: aderenza a Nato e Unione europea.
In questo quadro, il ruolo del Pd con la segreteria Zingaretti sembrava rivolto alla costruzione di un disegno politico diverso dal corso di questo partito quale si era ridenominato dopo la Bolognina, e cioè dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine del comunismo. Un disegno politico di garanzia democratica, una rimodellatura della fisionomia e della natura del partito sino ad assumere il volto della formazione che, per comodità di discorso, direi di centrosinistra (di prodiana memoria). Il gioco delle forze endogene ed esogene alla situazione politica italiana e la rigorosa linea istituzionale tenuta dal Quirinale, che ha escluso elezioni anticipate in mancanza della verifica di una maggioranza alternativa a quella del Conte I, ha portato all’incontro del M5S con il Pd, che così ha privilegiato l’obiettivo del contrasto a Salvini alla tenuta della linea politica, presentata, peraltro, agli elettori nelle ultime elezioni.
Il populismo antisistema del Movimento 5 Stelle, tuttavia, non è rimasto esorcizzato da ciò che la nuova maggioranza ha fatto finora. Il progetto dell’ideologo Bettini, che aveva spiegato la svolta del Pd come una missione pedagogica di rieducazione costituzionale e democratica del Movimento 5 Stelle, non sembra realizzato. Il Pd ha cambiato posizione sulla riduzione di deputati e senatori, sul delicato problema della giustizia, a partire dai problemi del Csm sino alle linee di riforma annunciate da Orlando e adesso profondamente mutate da Bonafede. È fin troppo evidente che la scelta del Pd, nel cui governo vi è pure Leu, obbedisce all’antico canone pas des ennemis à gauche, muovendosi verso un consolidamento della relazione con il M5S nella speranza, al tempo stesso, del riassorbimento o integrazione elettorale.
Questa scelta del Pd finisce con il rendere il binomio Pd-M5S il polo di sinistra e – oserei dire – indipendentemente dal sistema elettorale. È allora possibile che da questo riposizionamento a sinistra del Pd si determinino la necessità e lo spazio di un nuovo centro. Senza questo, la situazione politica sarà, inevitabilmente, caratterizzata da un bipolarismo Pd-M5S contro Lega. E la battaglia contro i sovranismi rimarrà istanza aperta e insoluta per la democrazia italiana.
Peraltro è stato sperimentato dal 1994 al 2012 che il bipolarismo, inevitabilmente radicale, non consente il buon governo dell’Italia. Di questa preoccupazione, nel recente passato, si era fatto carico il Pd con la formula a vocazione maggioritaria. Nonostante questa scelta, larga parte dell’elettorato si è collocata sul fronte opposto. Tra il 1994 e il 2012 lo spazio alternativo alla sinistra è stato rappresentato da Forza Italia, che ha costituzionalizzato il Movimento sociale (Berlusconi oggi dice di avere riscattato i fascisti), la Lega di Bossi e successori e riassorbito larga parte dell’elettorato che era stato della Dc, del Psi e dei partiti di centro. Ma in una linea incerta, della quale vedremo l’esito ai nostri giorni con il risucchio di Forza Italia da parte della Lega. Ed è qui che l’istanza di una forza di centro trova la sua prima e decisiva ragione.
La Lega, con la svolta di Salvini, ha condotto a esaurimento il disegno di Berlusconi, rimasto incompiuto. L’avanzata e il consolidamento delle più favorevoli previsioni elettorali per la Lega, anche se le elezioni dovessero giungere alla scadenza ordinaria, prefigurano la riproposizione di un bipolarismo anche più rude di quello sperimentato. Se si vuole arrestare questo prevedibile corso, si rende necessaria la composizione di un centro (di gravità permanente).
Ma quale funzione deve darsi questo nuovo centro? Se la prospettiva è il soccorso a uno dei due player attuali, Pd o Lega, non assumerà rilievo decisivo, ma potrà essere soltanto un porto sicuro di spezzoni incapaci di un progetto politico. E comunque il nuovo centro dovrà corrispondere alle esigenze e possibilità del momento storico attuale. Quale, allora, la prospettiva? Prima di essere una posizione politica, il centro deve rappresentare la proiezione delle più profonde e feconde risorse del popolo italiano, dei lavoratori come dei ceti medi come degli imprenditori, quel fattore popolare già felicemente sperimentato. L’Italia del dopoguerra aveva trovato questo partito di centro nella Dc che, quando si è discostata da questa linea, ha imboccato la strada del declino.
Nel discorso ad Avellino durante la celebrazione del centenario di Fiorentino Sullo, Conte è stato chiaro. La sua strategia è organizzare il centro nell’attuale maggioranza Pd-M5S. In sostanza ha riproposto la linea che una parte della Dc ha seguito dopo il 1994. L’ambizione di Conte è grande: il tentativo di egemonizzare la complessa realtà del M5S non è semplice. Riuscirà la doppia manovra di conversione e rieducazione dei pentastellati fatta da una parte da Conte e dall’altra da un Pd la cui incertezza di strategia politica è sempre più evidente?