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Dalla robotica all’intelligenza artificiale. Il lavoro nel futuro digitale secondo Mollicone

Di Federico Mollicone

Il lavoro è soggetto a profondi cambiamenti. Come normare quindi i processi di trasformazione del lavoro, derivanti dall’impatto della robotica e dell’intelligenza artificiale? L’evoluzione tecnologica non è mai neutrale, e procede in maniera esponenziale. Lavori vengono creati e vengono distrutti in pochissimi momenti.

Chi avrebbe mai pensato, anche solo 10 anni fa, che ci sarebbero stati nei nostri Atenei dei corsi di laurea per “Social media manager”, “manager dell’innovazione”?
Uno studio della McKinsey evidenzia come entro il 2030 circa 800 milioni di posti di lavoro potrebbero essere persi per via della cosiddetta automazione.
Il Forum Economico Mondiale ha indicato in un report – On Job – come un’azienda su due prevede una riduzione della forza lavoro full time a partire dal 2022 a seguito dell’automazione, con robotica e software di intelligenza artificiale tra le voci di spicco. Tuttavia, ed è il grande tema emergente, il 38 per cento estenderà la propria forza lavoro a nuove funzioni integrate con tecnologie di automazione.

Se per le attività elementari è ipotizzabile, anche in breve, una radicale sostituzione da parte di sistemi digitali, è nella globalità delle figure professionali, comprese quelle a più elevato livello di competenza, che deve essere giocata la partita della riproposizione professionale. Come è stato detto a Davos, i nostri figli faranno lavori che non sapevamo nemmeno esistere dove la manodopera diventerà obsoleta. Ci vuole, quindi, un nuovo “contratto sociale” fra uomo e macchina. La dimensione etica dell’Intelligenza artificiale non né un lusso né un accessorio, rappresentando una sfida normativa e politica.

Come affrontare tutto questo sul piano legislativo? Peter Thiel, già fondatore di Paypal e ora fra gli uomini più ricchi d’America, citando Tolkien avrebbe detto: “Percorri i sentieri nascosti”. Le difficoltà del parlamentare che si occupa di innovazione sono notevoli: le competenze sono frammentate fra varie commissioni parlamentari, e ciò porta rischi enormi per la coerenza dell’azione. Ipotizziamo di voler normare l’impatto dell’intelligenza artificiale su un settore specifico, come quello del diritto d’autore, quindi della creatività. Il vettore dovrebbe partire dalla commissione Lavoro, ma ha ricadute anche sulle commissioni Attività produttive, sulla Cultura, e molte altre.
A tal proposito, Fratelli d’Italia ha richiesto proprio una serie di audizioni per una riforma globale del settore editoriale, impattato proprio dagli sviluppi tecnologici e i cambiamenti dei consumi.

Dalla relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni istituita nella scorsa legislatura è emersa la raccomandazione di istituire una Commissione parlamentare permanente dedicata all’innovazione nel suo complesso, che purtroppo manca all’attuale architettura del parlamento. I flussi di lavoro parlamentare hanno un impatto specifico. Non è possibile non evidenziare la mancanza di un approccio strategico e la scarsa conoscenza delle norme in materia, il cui problema è acuito dalla frammentazione del lavoro in parlamento.
Ho presentato una proposta di legge per istituire una commissione parlamentare per le politiche dell’innovazione, e sullo stesso tema altri colleghi, sia di maggioranza che di opposizione.

A fronte dell’impegno del governo su questi temi, plasticamente espressi nella nomina di un dicastero ad hoc, ci auguriamo che venga calendarizzata.
Costruire un’infrastruttura normativa e amministrativa per le politiche dell’innovazione è un fattore chiave di moltiplicazione del valore dell’industria e dell’economia nazionale.

Il problema certamente è il difficilissimo contesto in cui ci troviamo a operare, dove una tripla crisi -istituzionale, economica e politica- sta schiacciando il nostro Paese che appare sempre più incapace di innovare e competere in modo sistemico nella corsa della globalizzazione. Per non parlare poi dell’emergenza educativa espressa dai dati OCSE. La sovranità digitale italiana è messa a rischio da questa distanza con altre nazioni europee ed asiatiche. La globalizzazione non è un pranzo di gala, per parafrasare qualcuno, con minacce per la nostra sicurezza nazionale.

Un esempio: la minaccia cyber, patologia delle trasformazioni digitali, è in continua e velocissima evoluzione a globale per poi colpire a livello locale.
È necessario predisporre opportune coperture finanziarie per un parco tecnologico nazionale che produca startup nazionali sempre più evolute, e ricevano costante formazione anche da parte di enti, organizzazioni e aziende internazionali, capaci di elevare il livello di conoscenza delle minacce esistenti e provenienti dai diversi contesti geopolitici.

I fattori dell’equazione della sovranità digitale sono diversi: formazione di figure specifiche per le politiche dell’innovazione + architettura normativa e istituzionale solida + informazione per i cittadini + sicurezza + diritti all’accesso che vanno moltiplicati per gli investimenti che, se sono pari a 0, annullano l’intera operazione.
Ogni innovazione modifica la percezione di ciò che è possibile. Perché non innovare proprio il Parlamento?

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