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Così funziona la macchina della disinformazione in Russia. L’esperimento che lo dimostra

Di Andrea Melegari

Sono bastati poco più di seimila dollari per sperimentare la disponibilità e l’efficacia di un servizio professionale di disinformazione. Poco meno di un terzo sono serviti per promuovere un brand, mentre i circa quattromila dollari rimanenti sono stati usati per danneggiarlo. È la sintesi di un recente esperimento condotto e pubblicato dalla Insikt Group, una società di analisi dei dati.

A tale scopo, la Insikt Group si è inventata un’azienda fantasma, la Tyrrel Corporation, per attirare l’attenzione e testare la reazione delle realtà che nel Dark Web vendono servizi di disinformazione. E così è accaduto: Raskolnikov e Dottor Zhivago sono infatti i nomi (di fantasia) di due aziende russe (vere) che hanno abboccato e sono state coinvolte, a loro insaputa, in questo esperimento. Dopotutto la disinformazione nasce proprio nell’Unione sovietica di Stalin che nel 1923 creò uno speciale ufficio di disinformazione per condurre operazioni tattiche di intelligence.

Tornando all’esperimento della Insikt Group, l’obiettivo era diffondere intenzionalmente notizie o informazioni inesatte in grado di influire sulla reputazione di un brand. Quindi la prima fase è servita per esaltare la Tyrrel, e subito dopo sono state messe in atto operazioni specifiche volte a infangarne la reputazione.

Come prima cosa, la Insikt ha assunto la Raskolnikov, che offre ai propri clienti servizi professionali che spaziano dalla scrittura di un testo, alla redazione di commenti, all’utilizzo di account Facebook e Linkedin per la diffusione di contenuti, ecc. Il loro listino parte da 45 dollari (generazione di un testo fino a mille caratteri) per arrivare a 550 dollari (campagna di marketing social di un mese).

Chiusa la trattativa, la Raskolnikov ha creato account aziendali della Tyrrel sulle varie piattaforme social. Ogni account è risultato molto credibile: un numero significativo di follower, link che rimandavano a personale dipendente, commenti e risposte sull’azienda. Il passo successivo è stata la produzione di un paio di articoli in cui si esaltavano le varie eccellenze della Tyrrel. Infine, gli articoli sono stati pubblicati su vari siti internet con costi differenti, in base a rilevanza e notorietà delle testate. Interessante notare che, secondo la Insikt, una di queste “era considerata di grande reputazione poiché pubblicava il suo giornale da quasi un secolo”.

A questo punto, dopo aver costruito l’immagine della Tyrrel, l’esperimento è continuato: era necessario disintegrarne la reputazione. Tutto ciò grazie alla Doctor Zhivago, la cui macchina del fango può attivarsi anche solo con 8 dollari (un post social).

Come nel caso precedente, la campagna diffamatoria ha previsto la produzione di testi, ma in questo caso contenenti critiche e pareri denigratori. Ad esempio, è stata accusata la Tyrrel di coinvolgere i propri dipendenti in situazioni compromettenti, e queste diffamazioni sono state divulgate tramite un processo estremamente sofisticato. Prima i testi sono stati pubblicati da utenti (fake) con profilo consolidato, poi questi post sono stati ripresi da altri utenti (sempre fake), meno consolidati dei precedenti ma con una serie di link a utenti reali che risiedono nell’area geografica in cui sono collocati gli uffici della Tyrrel, così da raggiungere un’audience elevata e funzionale agli scopi della disinformazione.

Il costo di questa campagna denigratoria però si è rivelato più alto della prima (quella promozionale), perché ha richiesto un paio di mesi di attività, periodo in cui sono state create e disseminate notizie delatorie sulla Tyrrel, con meticolosa attenzione e nei medesimi canali in precedenza utilizzati per esaltarne le qualità.

Dopo la descrizione di questo esperimento, alcune riflessioni. È evidente che il mercato offre già la possibilità di acquisire efficaci servizi di disinformazione professionale, personalizzabili e a prezzo contenuto. Le realtà che offrono questi servizi sono vere e proprie imprese: possiedono un ufficio commerciale, un listino prezzi e un team di professionisti preparatissimi e senza troppi scrupoli.

La disinformazione non è più una prerogativa esclusiva dei regimi impegnati a contrastare l’opposizione interna o le ingerenze di altri governi. Piuttosto, come dimostra l’esperimento, è già un’arma facilmente impiegabile nella guerra ibrida tra aziende. L’unica contromossa possibile è ampliare l’orizzonte delle analisi che riguardano la nostra organizzazione, così da intercettare sul nascere fenomeni di questo tipo. Prima che sia troppo tardi e troppo costoso rimediare a un danno reputazionale, per quanto falso.


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