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F-35, Patriot e Nato. La partita tra Stati Uniti e Turchia è aperta

L’incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e Recep Erdogan non ha sciolto tutti i nodi al pettine del rapporto tra Stati Uniti e Turchia, a partire da quello per cui c’era più attesa: il sistema russo S-400. Nel colloquio a Washington il presidente americano ha cercato di usare la carota più del bastone, offrendo un accordo commerciale e ricevendo in cambio la disponibilità del collega turco all’acquisto del sistema Patriot. Eppure oggi Erdogan ha confermato che non rinuncerà all’S-400, rimettendo la palla al centro in vista del summit Nato di Londra che, tra tre settimane, si preannuncia infuocato. Anche per questo oggi alla Casa Bianca c’era Jens Stoltenberg, il segretario generale dell’Alleanza.

LE PAROLE DI ERDOGAN…

Il percorso per la riconciliazione tra Usa e Turchia appare al momento ancora in salita. All’indomani della visita a Washington, il presidente turco ha spiegato infatti che non intende rinunciare al sistema missilistico russo S-400, l’assetto che ha inserito una dolorosa spina del fianco dell’Alleanza Atlantica e per cui gli Usa hanno già estromesso Ankara dal programma F-35 (nonostante un programma d’acquisto per cento velivoli). “La proposta di rinunciare ora agli S-400 comporterebbe uno spreco enorme che andrebbe a scapito della popolazione”, ha spiegato Erdogan. “Non possiamo lasciar perdere gli S-400 ora e passare ai Patriot di punto in bianco; ho detto a Trump che siamo disposti a prendere i missili Patriot, ma non rinunceremo agli S-400”, ha aggiunto il presidente.

…E I DUBBI TURCHI

Parole che mostrano tutte le difficoltà a giungere a un compromesso accettabile per entrambi. Come noto, l’estromissione dal programma F-35 ha fatto parecchio male ad Ankara. La Difesa turca ha puntato sul velivolo di quinta generazione realizzato da Lockheed Martin per il futuro del proprio potere aereo, legato a un’ambizione di potenza più che regionale. Alternative nazionali (il caccia indigeno TF-X) o russe (il Su-57 con cui Erdogan ha tentato di far ingelosire gli americani) non si sono mai dimostrate appetibili quanto il velivolo americano, anche in virtù dell’ampio coinvolgimento previsto nel programma per le industrie di Ankara. È su questo coinvolgimento che gli Stati Uniti hanno agito per cercare di convincere la Turchia a non acquistare l’S-400, simbolo dello scivolamento di Erdogan nelle braccia di Vladimir Putin, ben disposto da parte sua a mettere in difficoltà la tenuta della Nato.

IL PUNTO AMERICANO

L’impressione è che gli Stati Uniti non si siano lasciati ammaliare dall’apertura di Erdogan sul Patriot, offerto da anni alla Difesa turca. Lo dimostra il fatto che mentre Trump riceveva il collega alla Casa Bianca, il responsabile per il Pentagono per il programma F-35 Eric Fick riferiva al Congresso l’individuazione delle alternative ai contributi industriali offerti dalla Turchia. “Abbiamo iniziato appena un anno fa – ha spiegato il generale – molto silenziosamente ma con decisione, assumendo azioni per trovare fonti alternative a tutte le loro parti”. Il messaggio è chiaro, e arriva dritto ad Ankara con la risposta odierna delle parole di Erdogan.

L’ACCORDO SUI TEMPI

Per ora, l’unica certezza riguarda il tacito e indiretto accordo sui tempi: aprile 2020. Allora verranno completate le consegne dell’S-400, e sempre allora sarà definitiva l’estromissione della Turchia dal programma F-35. Su questo, la convergenza è emersa lentamente e senza intese formali già da luglio (quando arrivavano le prime forniture russe), quasi a volersi offrire reciprocamente un margine per risolvere la questione. Così, certificando l’uscita di Ankara dal Joint Strike Fighter, la Casa Bianca specificava prontamente che sarebbe stata definitiva da marzo prossimo. Parallelamente, ricevendo il primo S-400, i turchi notavano che l’attivazione dello stesso sarebbe scattata solo ad aprile. Poco dopo, il segretario di Stato Mike Pompeo (uno dei fautori della linea dura sul dossier) spostava l’ipotesi di applicazione di sanzioni da “consegna” ad “attivazione”, una sottolineatura che confermava i margini nelle tempistiche.

L’INDUSTRIA TRANSATLANTICA

Nei mesi successivi poco è cambiato. Nuove componenti per l’S-400 sono arrivate in Turchia, mentre il programma F-35 è proceduto a gonfie vele, tra nuovi ordini e l’accordo che ha abbattuto i costi (portandoli al di sotto di quelli per i velivoli di quarta generazione). Intanto la partita si conferma da giocare nel perimetro Nato. Ieri, mentre Erdogan ripartiva, arriva a Washington Jens Stoltenberg. Prima di incontrare Trump alla Casa Bianca, il segretario generale dell’Alleanza Atlantica è stato accolto al Pentagono da un gruppo di manager d’azienda in vista del Forum Nato-Industry. Oggi il suo intervento ufficiale, in cui ha sottolineato il valore dell’industria quale componente del sistema di difesa comune. “Il nostro successo ha sempre fatto affidamento sulla possibilità di disporre degli armamenti migliori e delle più recenti tecnologie; cose fornite dall’industria della difesa, parte integrante del nostro successo”. Ora si apre però un nuova sfida: “Continuare quel successo in un mondo più imprevedibile; mantenere il vantaggio tecnologico nell’era degli spostamenti degli equilibri globali di potenza, Nato e industria insieme”. Da qui l’esigenza di “rafforzare la cooperazione industriale transatlantica, investire, innovare ed essere pronti per il futuro”. Tra le righe c’è il riferimento al programma transatlantico per eccellenza: l’F-35.

I NODI INTERNI ALL’ALLEANZA

La nuova puntata andrà in scena all’inizio di dicembre in Inghilterra, con una lieve anticipazione la prossima settimana a Bruxelles quando si riuniranno i ministri degli Esteri della Nato. In vista del summit di Londra, all’intricato nodo turco si aggiungono le prevedibili strigliate di Trump sul tema della spesa (il noto 2% del Pil). Più di recente, sebbene fondate su ambizioni storiche, sono arrivate le critiche del presidente francese Emmanuel Macron, che ha definito la Nato “cerebralmente morta”. Stoltenberg è stato tra i primi a rispondergli, e lo ha fatto da Berlino a fianco di Angela Merkel, anche lei a ribadire la centralità dell’Alleanza per la sicurezza europea. Si attende ancora la risposta di Trump, che già lo scorso anno aveva discusso a colpi di tweet con l’omologo francese quando quest’ultimo aveva palesato pressoché le stesse critiche, con annessa promozione dell’autonomia europea rispetto agli Usa.

LE RASSICURAZIONI

Tutto questo potrebbe esplodere al summit di Londra, ragion per cui Stoltenberg ha cercato di rassicurare il presidente Trump e di trovare in lui la spinta per consolidare l’Alleanza. Il primo tema per rabbonire l’inquilino della Casa Bianca è quello della spesa. Il segretario generale ha ricordato i progressi fatti sul 2% dai Paesi europei e dal Canada, spiegando che negli ultimi cinque anni l’incremento complessivo da parte loro è stato di oltre cento miliardi di dollari. Un’altra assicurazione è arrivata sul tema della Difesa europea. “Deve completare la Nato”, ha detto Stoltenberg confermando di condividere lo scetticismo d’oltreoceano. Infine, l’adesione alla linea americana sul 5G, una strada che l’Alleanza ha intrapreso già nell’ultimo vertice tra i ministri della Difesa. “Assicurare la sicurezza delle infrastrutture 5G è cruciale”, ha ribadito Stoltenberg da Washington. L’avviso agli alleati europei è chiaro.


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