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Fintech tra regolazione e concorrenza

In occasione della presentazione del nuovo “Manuale di Diritto Bancario e Finanziario” a cura di Francesco Capriglione (ed. Cedam) abbiamo incontrato Valentina Canalini, avvocato – counsel presso Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners, che ha collaborato alla stesura di alcune parti del manuale. Con lei ci siamo soffermati su alcuni aspetti della rivoluzione tecnologica in atto nel mondo della finanza.

Nella realtà del Fintech, il campo da gioco è internazionale e le regole sono diverse, a volte di portata globale. In questo momento storico è necessario costruire – o ricostruire – il paradigma del Fintech tra regolazione, mercato e concorrenza?

Senza dubbio. Trattandosi di un fenomeno globale, con players internazionali, è senz’altro necessario avere un panorama normativo-regolamentare il più possibile armonizzato almeno a livello europeo. Inoltre, in questo contesto, un rischio da non sottovalutare che comporta una serie di elementi di complessità nell’ambito della vigilanza svolta da ciascun paese dell’Unione europea, è quello legato alla libera circolazione di capitali e libera prestazione di servizi. Sotto questo profilo, infatti, si possono verificare degli effetti distorsivi creati dalla competizione tra ordinamenti e dovuti al fatto che gli intermediari finanziari possono scegliere, in assenza di regole armonizzate, di collocare la propria attività in paesi in cui la regolamentazione consente maggiori margini di flessibilità per poi operare in altri paesi membri, in assenza di un filtro autorizzativo da parte dell’Autorità host. In mancanza di un quadro regolatorio omogeneo, un contesto normativo-regolamentare eccessivamente restrittivo o un approccio di vigilanza nazionale troppo rigido, rischiano, quindi, di incentivare la delocalizzazione di nuove aziende e la perdita di competenze digitali, spostando fuori dal territorio nazionale un’industria nascente. Anche per tali ragioni la PSD2 ha potenziato i meccanismi di coordinamento tra le diverse Autorità nazionali – con un rafforzamento del ruolo dell’EBA – e ha introdotto misure volte a limitare il cd.“shopping” delle autorizzazioni/licenze (ad esempio, imponendo a un operatore che ottiene la licenza/autorizzazione in un determinato paese membro di svolgere la propria attività in quello stesso paese).

A settembre 2019 è entrata in vigore la normativa PSD2, che cambia il mondo dei servizi di pagamento, abbattendo le barriere all’ingresso di nuovi operatori e che aprirà le porte a nuovi soggetti: rappresenta quindi una opportunità enorme per i players non tradizionali?

La PSD 2, rappresenta una vera rivoluzione nel sistema dei pagamenti. Per la prima volta, infatti, viene dato accesso ai conti bancari da parte di operatori diversi dagli istituti bancari (le cosiddette “terze parti” – Third Party Payment Services Provider o TPP), con l’obiettivo di migliorare la competizione tra soggetti finanziari nuovi e tradizionali.  Sotto questo profilo la PSD 2 rappresenta, senz’altro, un’importante opportunità per numerosi nuovi operatori internazionali pronti ad affacciarsi a questo mercato. Allo stesso tempo è tuttavia doveroso evidenziare quanto la concorrenza introdotta dalla PSD2 possa anche rappresentare un’opportunità per le banche già presenti sul mercato, qualora le stesse si attivino senza indugio per provvedere all’attuazione dei pagamenti istantanei e all’implementazione di strumenti innovativi. È essenziale, dunque, che le banche investano nell’aggiornamento dei sistemi preesistenti per poter preservare o accrescere la propria quota di mercato. La recente esperienza nel campo dei pagamenti contactless dimostra che le banche, in collaborazione con le altre parti coinvolte, sono certamente in grado di apportare innovazioni nel settore dei pagamenti e migliorare il livello di servizio per gli utenti finali.

Nel manuale si parla anche di crowdfunding, oggi tra le forme più diffuse ed efficaci di finanziamento di progetti imprenditoriali creativi e start-up. Proviamo a fare un po’ di chiarezza sui profili operativi

Fare chiarezza non è semplicissimo – e richiederebbe almeno un interno volume! – dato il momento di grande fermento a cui stiamo assistendo: si tratta di un tema assai complesso e in continua evoluzione, in relazione al quale è sostanzialmente impossibile fornire una descrizione e una ricostruzione giuridica del quadro operativo di riferimento costantemente aggiornata e sufficientemente resiliente nel tempo. Basti evidenziare, ad esempio, che la terminologia “crowdfunding” raccoglie in sé strumenti in verità molto diversi tra loro, quali l’equity crowdfunding (il più conosciuto), il lending-based crowdfunding, il donation-based crowdfunding, il reward-based crowdfunding e il pre-selling crowdfunding. Il lending-based crowdfunding, ad esempio, si distingue dagli strumenti di equity crowdfunding in quanto nel primo caso i finanziatori e i prenditori sottoscrivono un contratto di finanziamento, con il quale i primi forniscono una somma in denaro ai secondi, che si impegnano a restituire il capitale (normalmente maggiorato da un tasso d’interesse) ad una determinata scadenza. Completamente differente, invece, non trattandosi di un prestito, è lo strumento dell’equity crowdfunding, ossia l’acquisto diretto di quote di capitale di rischio del soggetto giuridico emittente, condividendone così i rischi imprenditoriali e supportando l’effettiva realizzazione del progetto industriale. In questo modo i sottoscrittori, seppur mediante l’erogazione di somme di denaro relativamente esigue, diventano stakeholder di massa delle entità destinatarie dell’apporto monetario.



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