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Francesco Guccini tra radici e stagioni

Il sogno di ciascun gucciniano è quello di incontrare il Maestro nei suoi luoghi e bere un buon bicchiere di vino rosso insieme a lui e parlare di vita, d’amore e altre sciocchezze. Guccini è uno che te lo vai a cercare. Di persona o fra i testi. Insomma è uno di quei monumenti viventi che da sempre rappresenta un punto di riferimento. Una saggezza quasi contadina che nel tempo si è trasformata in un professore involontario. Basterebbe solo un piccolo viaggio nelle sue canzoni per capire la portata della sua poesia, con frasi che sono rimaste scolpite nella mente e nel cuore degli appassionati. E allora il pellegrinaggio nella sua Pàvana diventa essenza di un percorso più profondo e controcorrente. Di fronte alla ricerca della modernità a tutti i costi, la centralità della remota provincia diviene qualcosa di antico e prezioso e per questo degno di essere vissuto come una nuova stagione. Proprio le stagioni sono l’emblema dello scorrere del tempo per l’altro Francesco. Sono il nucleo delle passioni, il cambiamento epocale visto di soppiatto, dalla fessura di lettere mai spedite. Tutto è dialogo in Guccini. Anche la solitudine diventa sublime. Insomma la sua capacità di raccontare è così sviluppata da poterlo ascoltare anche tra le pagine. Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto – Giunti editore è tutto questo. E’ quel bicchiere di vino condiviso con una platea di lettori che non potendo avere il piacere di incontrarlo personalmente possono avere lo stesso gusto dalle proprie case. E’ nell’autunno e nell’inverno tra castagne che scoppiano nel fuoco amico che riscalda gli animi che questo libro raggiunge la sua massima espressione. Le foglie che cadono mentre il primo vero freddo riduce le uscite spesso caotiche sono il naturale scenario per “sentire” le storie dialettali con la stessa natura di favole moderne. Episodi che se è vero che appartengono alla memoria di un singolo fanno parte del tessuto connettivo di una società perduta. Guccini ha sempre cercato di ritrovare e di ritrovarsi come un cercatore di quelle cose apparentemente non degne di essere elevate all’inquadratura in primo piano. Tra sogni e certezze con una naturalezza come brina sull’erba.
Egli è rimasto quello di sempre. Schietto e diretto. Sembra quasi che il suo mondo sia popolato di persone che hanno fatto la storia da invisibili e da anonimi. Raccontare il paesaggio e descriverlo come se fosse quello più bello del mondo quel microcosmo da dove si parte e si arriva. Non importa se in mezzo ci sono stati concerti o passaggi televisivi. Francesco è rimasto quello del fiume che non smette mai di emozionare e che insieme al mulino diventa cartolina d’altri tempi certamente migliori, a questo punto, dopo aver visto la realtà da vicino. E’ il paese dei sapori che non ci sono più. Quello della chimica che rende tutto uguale. Si c’è la disponibilità di ogni cosa. Ma manca l’unicità. Mancano le cose di una volta, non per essere solo nostalgici senza speranze, ma per ritrovare il senso stesso della bellezza del vivere. Esistenze che hanno bisogno di essere rallentate nella corsa quotidiana alla quale è costretto l’uomo moderno. Leggere questo libro aiuta a sentirci anche meno soli. A smettere di credere che solo la mondanità ci fa essere al centro dell’attenzione. E’ nel rispetto delle proprie radici, del linguaggio di provenienza nel non cambiare mentre tutto “sembra” cambiare la chiave di volta di un nuovo modo di pensare. E’ il titolo racchiude davvero il senso di tutto l’insieme. E’ quell’attimo di passaggio sapendo che alla fine, malgrado questo Paese ormai al declino, quella luce seppur tenue è quella che ci permette di vedere la bellezza del mondo anche se si tratta solo di acqua ancora pura che scorre mentre gli uccelli popolano le cime degli alberi prima di lanciarsi verso l’aperta collina. E’ tutto qui, tutta la poesia del mondo non potrebbe dire di più su questo “piccolo mondo antico” di istanti che si accendono come scintille.

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