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Conte si gioca il governo sul Mezzogiorno, e l’Italia il futuro. Parola di Pittella

Di Gianni Pittella

Nella mia attività istituzionale europea ho sempre ritenuto centrale il tema Mezzogiorno, nel senso della convergenza possibile e necessaria tra le diverse aree del nostro Paese, convinto come sono che non esista crescita e sviluppo in Italia, e non esista crescita e sviluppo in Europa, se il sud non recupera il gap economico, sociale e infrastrutturale rispetto alle aree più prospere del continente.

È la prima volta tuttavia che mi trovo a commentare le analisi di Svimez e la complessità della sfida meridionalistica da un osservatorio italiano, per giunta di maggioranza parlamentare.

È questa una diversa prospettiva che mi impegna a responsabilizzare il governo di cui ho votato la fiducia a una programmazione e a un’azione concreta e urgente, perchè il tempo sta per scadere difronte ai ritardi e alle afasie colpevoli degli ultimi lustri e dinanzi a drammi contingenti come la possibile chiusura dell’Ilva a Taranto.

Prima di ogni analisi, dico su quest’ultimo punto come la penso.

È scellerata ogni idea di dismissione del più importante stabilimento siderurugico d’Europa e del più importante stabilimento italiano per numero di addetti.
Completare gli interventi previsti per l’Aia e garantire agli attuali gestori le esimenti penali per tutta la fase di completamento del piano ambientale è un imperativo senza se e senza ma.

E ciò va salvaguardato anche di fronte alla possibilità di nuove cordate se la Mittal dovesse confermare la sua indisponibilità.

Ogni azione contro l’Ilva di Taranto è un’azione contro il Mezzogiorno e i cantori della decrescita felice finiranno per cantare la miseria, il degrado e il sottosviluppo se ne fosse decretata la chiusura.

Altra cosa è imporre come elementi indefettibili la serietà e la celerità delle bonifiche e la compatibilità ambientale dell’industria pugliese, senza pensare di mettere in antitesi insanabile produzione, operai e tutela dell’ambiente.

Ma diciamola onestamente, c’è una più generale assenza di politica industriale in questo Paese e con la stessa onestà dovrei dire che sono circa venticinque anni che non si parla più davvero di mezzogiorno e ogni ipotetica aspirazione di convergenza è finita delegata al cosiddetto “buon uso dei fondi europei”.

Sul fronte nazionale infatti, dopo i tentativi per alcuni versi fruttuosi di industrializzazione ai primi del ‘900 e dipoi con la tanto ingiustamente vituperata Cassa del Mezzogiorno, dalla metà degli anni ’90 del ‘900 la presunzione liberista del mercato che si autoregola fa precipitare ogni sforzo di convergenza governato dal pubblico, rimettendo a incentivi all’investimento (peraltro insufficienti) da parte di privati, l’unica azione possibile.

E la vulgata di marca leghista e antimeriodionale, pure con gli astuti travestimenti sovranisti dell’oggi, tende ad accreditate un destino di ineluttabile sottosviluppo per una parte del Paese.

Dunque tre premesse di fondo, filosofiche oserei dire: non vi è un destino ineluttabile, perché la questione meridionale è una scelta politica; non sono sufficienti gli incentivi ai privati né i fondi europei senza un serio piano Paese che necessiti di risorse dello Stato e delle sue partecipate; la scelta di un piano di investimento di una qualche portata richiede un allegerimento in Europa del Patto di Stabilità che garantisca risorse altrimenti difficili.

Fatte queste tre premesse, proviamo sulla base dell’analisi ad avanzare a qualche proposta concreta.

L’analisi di Svimez è impietosa e non è solo questione di Pil, a -0,2% nel 2019 e dunque in recessione tecnica.

I dati della disuguglianza sociale, dello spopolamento e della divaricazione infrastrutturale con il nord del Paese sono i più duri e per un paradosso che in realtà non ci appare più così paradossale “scopriamo” che nel 2018, stima la Svimez, la spesa dello Stato in conto capitale è scesa al Sud da 10,4 a 10,3 miliardi dell’anno precedente ma nel 2000 la spesa era di 22 miliardi, esattamente equivalente a quella nel 2017 nel Centro-Nord, 22,2  miliardi che salgono a a 24,3 miliardi nel 2018!

Cosa fare, e con l’urgenza che si deve al malato grave? Sette cose immediate.

1. Dare piena ed effettiva attuazione alla clausola del 34% per gli investimenti ordinari per il Mezzogiorno, con vincoli e verifiche da estendere al complesso del settore pubblico, a partire da Anas, Enel, Ferrovie, Poste, Eni.
Questo fatto da solo determinerebbe un’accelerazione della crescita del Pil meridionale dello 0,8% riportandolo ai livelli di crescita del Centro-Nord.
In particolare, gli investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno che negli anni ’70 erano circa la metà di quelli complessivi, negli anni più recenti sono calati a un sesto di quelli nazionali. Riportarli a un terzo sarebbe un passo verso la riduzione delle forbice infrastrutturale esistente;

2. Il credito di imposta automatico deve essere confermato e ampliato. I dati ci dicono che la misura introdotta per la prima volta dal governo D’Alema è stata generatrice positiva quando ha avuto un orizzonte temporale lungo e una convenienza significativa così da consentire alle imprese al sud un respiro ampio. Si può valutare di renderlo ancora più appetibile per settori industriali leggeri ad alto valore aggiunto tecnologico.

3. Una no tax area totale per le imprese in accordo con l’Europa. Estendere i vantaggi delle Zes sia dal punto di vista territoriale sia dal punto di vista dell’offerta di sgravi. Solo una misura d’urto che sburocratizzi e incentivi fortemente può rendere appetibile un’area economicamente e socialmente depressa.

4. Far diventare il Mezzogiorno il volano del New Green Deal che ci chiede il nuovo corso in Europa e la nuova sensibilità ambientale e rivoluzione verde.

Ci incoraggiano già alcuni dati: le imprese del biotech sono cresciute moltissimo nelle aree meridionali, +61,1%, rispetto a +34,5% su scala nazionale e circa il 53% della potenza istallata da fonti energetiche rinnovabili si concentra nel Mezzogiorno.

Partiamo da questi elementi confortanti per inaugurare una genesi di grandi investimenti contro il dissesto idrogeologico, di potenziamento delle energie rinnovabili, di cambiamento radicale del trasporto, da gomma a ferro, di sostegno alla trasformazione circolare del rifiuto, di ammodernamento della rete idrica.

La qualità della vita è la chiave di volta dello sviluppo in Italia e può esserlo ancora più al sud.

Investimenti nella mobilità e nel materiale rotabile, nell’edilizia scolastica, nella sanità, nell’edilizia popolare, nella rigenerazione e riqualificazione delle periferie delle città diventano centrali in una scelta di rottura con l’afasia si questi anni.

5. Un grande piano di assunzioni nella Pubblica amministrazione. Diciamola tutta: a lungo l’idea sovente fondata che le amministrazioni pubbliche avessero rappresentato un ammortizzatore sociale di clientele politiche ha fatto da freno a ogni ipotesi di ammodernamento della macchina burocratica dello Stato e delle sue articolazioni territoriali. Ci siamo ritrovati così, soprattutto negli enti locali, una media anagrafica elevatissima nel personale, scarsa qualificazione e un freno, questo sì, all’efficienza nell’azione amministrativa a danno dei servizi ai cittadini e alle imprese. E persino con un dato che pochi conoscono, visto il lungo blocco del turn over: abbiamo una quota proporzionale di dipendenti nelle amministrazioni pubbliche rispetto alla popolazione sensibilmente più basso rispetto alla media dei più virtuosi paesi europei. È ora di inaugurare una nuova fase con un turn over significativo nei numeri e nelle competenze degli impieghi pubblici soprattutto al sud. Il modello Campania dei corsi concorsi affidati al Formez può essere rafforzato ed esportato in tutte le altre regioni con il sostegno e l’indirizzo del ministero della Funzione pubblica. Le conseguenze non saranno solo un sollievo per tanti giovani capaci e formati e già con la valigia pronta ma anche un innalzamento sensibile della qualità dei servizi delle amministrazioni statuali e locali.

Del resto, scelte diverse di assistenzialismo mascherato, come quella del Reddito di cittadinanza, spiega bene Svimez, non hanno alcun impatto sul mercato del lavoro, in quanto la misura, invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato.

6. Accelerare gli investimenti programmati dalle grandi aziende di Stato nel Mezzogiorno e favorire le catene di fornitura dei comparti trainanti dell’industria del sud, automotive, aerospazio, energia e petrolchimico.

Per fare un esempio, Fincantieri col sostegno del Ministero dello Sviluppo ha in programma il rilancio del bacino di carenaggio nel porto di Palermo che consentirebbe la costruzione di grandi navi e ha progettato un piano di rafforzamento dei cantieri di Castellammare. Ma potremmo continuare a lungo con l’Eni e Leonardo in Campania e Puglia e via discorrendo.

7. Un grande piano di recupero e valorizzazione del capitale umano, della rete sociale.
Aveva ragione Manlio Rossi Doria quando parlava di variabili “non economiche” nei processi di sviluppo. La qualità delle relazioni sociali e lo sviluppo del capitale umano concepiti come condizioni dello sviluppo. Il nostro sud richiede di consolidare percorsi di sviluppo auto-propulsivo ma per farlo è necessario che le comunità locali abbiano un sufficiente livello di coesione sociale. Il rafforzamento del capitale sociale è anche la condizione indispensabile per combattere le mafie.
Scuola e università sono i primi terreni di sfida.

Dobbiamo programmare interventi per ridurre la quota di early school leavers alla media europea del 10%. Nel sud è poco sotto il 20. Un piano Marshall per tenere le scuole sempre aperte è obiettivo possibile e su cui si può fare anche una battaglia europea.

Il tempo pieno consente di ridurre il gap di istruzione soprattutto nei quartieri a rischio marginalità delle città meridionali, il rilancio delle discipline scientifiche nelle scuole secondarie permette di incrementare il numero insufficiente di laureati nel Mezzogiorno in materie tecniche, gli investimenti nei saperi linguistici e informatici rimette al centro dei sistemi internazionali la formazione dei giovani meridionali.

Individuare settori innovativi e azzerare le tasse universitarie per gli studenti meridionali che si iscrivono a facoltà connesse a tali settori nelle università del sud può essere un importante incentivo.

E per questo accolgo con particolare favore l’idea di quanti pensano a una sorta di “Mit del Mezzogiorno”, un “soggetto” d’alta formazione e ricerca che faccia da traino e da attrattore delle menti migliori che devono guardare al Mezzogiorno come un’area stimolante e competitiva.

Già il caso Normale di Pisa che coraggiosamente si è “duplicata” a Napoli costituendo un centro di alta formazione con la Federico II può essere un modello utile.

In conclusione, non ho voluto come pure ho fatto negli anni, richiamare ad una più efficiente spesa dei fondi europei. Su questo terreno abbiamo fatto qualche passo avanti, e ne abbiamo tanti da dover fare, ma mai come in questo momento sento di dire che l’approccio alla questione meridionale tocca una complessità di temi, e talvolta i fondi di coesione sono stati l’alibi per lo Stato italiano per non occuparsi davvero di Mezzogiorno, non solo facendoli diventare risorse sostitutive ma più in generale abdicando a ogni disegno strategico.

È ora di cambiare pagina.

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