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Ilva, Alitalia e le altre. Tutti i dossier aperti al Mise visti da Pennisi

Oggi 12 novembre, san Giosafatte martire, il governo tenta di aprire un negoziato con Arcelor Mittal AM. Per trattare, però, occorre essere in due. Mentre AM ha una posizione chiara e condivisa tra management ed azionisti: smettere di perdere oltre 2 milioni di euro al giorno ed incorrere in vertenze penali per fatti commessi da altri in impianti che all’epoca avevano avuto tutte le autorizzazioni.

La posizione del governo è tutt’altro che unanime: c’è chi vuole “imporre” (pur non avendone né la capacità né la possibilità) a AM di continuare a perdere, c’è chi vuole accettare alcuni punti della controparte (per farla restare a Taranto e soprattutto impedire che altre imprese straniere, lette le corrispondenze dall’Italia, scappino o propongano di non mettere mai piede nel Belpaese), c’è che vuole rimettere l’orologio indietro di novanta anni e nazionalizzare questo e quello (in toto o in parte, temporaneamente o per sempre), c’è chi vuole trasformare la Cassa depositi e prestiti (Cdp) in una GEPI del terzo millennio, ignorando che la Cdp è il custode del risparmio postale degli italiani. Quindi, l’esecutivo si presenterà in una posizione debole rispetto alla controparte, non certo il modo migliore per intavolare un negoziato. È facile prevedere che finirà come la diatriba sull’alta velocità ferroviaria tra Lione e Torino: l’esecutivo dovrà accettare la dismissione dell’investimento di AM e forse anche chiedere scusa.

Per il momento, peraltro, la vertenza con AM serve a distrarre l’opinione pubblica dai gravi problemi di Alitalia. Anzi, vengono fatte trapelare notizie secondo cui il 21 novembre ci sarebbe un’”ottima offerta vincolante” (sic!) da parte di una cordata il cui partner tecnico non è chiaro se sarebbe Delta o Lufthansa; non si sa ancora come verrebbero trattati i prestiti dallo Stato (900 milioni di euro all’ultima newco) e se e quando il piano finanziario contempla un ritorno se non all’utile almeno al pareggio (dato che ora perde un milione di euro al giorno).

La vicenda Ilva pare distrarre dagli altri 158 “tavoli di crisi” al ministero dello Sviluppo Economico (Mise) gestiti, per così dire, da un ex-parlamentare del Movimento Cinque Stelle, fedelissimo – si dice – al Capo politico del Movimento stesso. Tali “tavoli” coinvolgono duecentomila posti di lavoro e richiedono mani e menti molto esperte perché, almeno in alcuni di loro, si possa giungere a soluzioni positive concrete,

Tutti questi sono più che indizi di un aspetto di fondo: il sistema industriale italiano (vantato come il secondo dell’Unione europea) si sta spappolando ed entrando in una crisi che potrebbe essere irreversibile.

È possibile che ciò corrisponda ai voti, confessati più o meno apertamente, di chi è entrato in politica inneggiando alla decrescita felice e mostrando, coerentemente, un atteggiamento anti-imprenditoria. Ma quale è la visione alternativa che propongono? Un’Italia che diventi la Disneyland d’Europa? Un ritorno all’economia rurale? Un Italia in cui gli occupati diminuiscano ma provvedano con il reddito di cittadinanza agli altri?

Sarebbe bene saperlo.

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