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Ilva, Alitalia, Tav, Tap. I no che fanno la decrescita

Tutte le volte che l’Italia dice no, dalla opposizione alle infrastrutture al sistema della giustizia lenta, dalla Pa che non funziona alle corporazioni che vogliono bloccare il Paese, fino al caso emblematico dei vaccini e ad un’industria che parla sempre di più la lingua straniera, il costo che sostengono i cittadini è davvero enorme, come insegnano i casi sotto i riflettori in queste ore, Alitalia e Ilva.

Sono alcuni dei temi contenuti nel saggio “I no che fanno la decrescita”, scritto dal docente universitario e presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture di Confassociazioni Stefano Cianciotta e dal redattore economico de Il Foglio Alberto Brambilla.

Il testo, con l’introduzione di Alessandro Beulcke, presidente del Nimby Forum, analizza i tanti veti che impediscono al Paese di crescere e innovarsi, e sarà presentato domani alle 11.30, nel Parlamentino del ministero delle Politiche Agricole.

La presentazione è stata promossa da Andrea Nicastro, presidente di Confassociazioni Giovani e Giovanni Maria Chessa, presidente del Think Tank Neos Magazine.

Oltre agli autori parteciperanno all’evento il direttore della Biblioteca del ministero, Giovanni Piero Sanna, il presidente di Confassociazioni Angelo Deiana, Filippo Delle Piane, vicepresidente Ance nazionale, Massimo Nicolazzi, già manager Eni ora professore di Economia industriale all’Università di Torino, e Daniele Sterrantino, avvocato e consulente giuridico del Consiglio Superiore dei lavori pubblici e del ministero delle Infrastrutture.

Il testo prova a spiegare quali sono state le cause che dagli anni Ottanta hanno impedito all’Italia di promuovere uno sviluppo pari a quello dei Paesi occidentali più progrediti, e quali le ragioni di questo ripiegamento, i cui effetti negativi sono stati amplificati dal decennio di crisi economica cominciato con il fallimento della Lehman Brothers, e i cui effetti si stanno trascinando anche in questi giorni, come testimoniano i casi Ilva, Alitalia e il mancato completamento di una infrastrutture strategica come il Mose.

Una parte del testo è dedicata proprio al caso Ilva, del quale gli autori ripercorrono tutte le vicende, dalla inaugurazione dello stabilimento fino alle recenti vicissitudini.
La parte finale del testo, però, contiene le proposte di crescita degli autori in materia fiscale, di spesa pubblica, riforma del mercato del lavoro, scuola e Università, giustizia.

“In una società che sta attraversando una profonda fase di trasformazione, affermano Cianciotta e Brambilla, l’opposizione dei territori alla costruzione di infrastrutture è la punta dell’iceberg di un disagio che investe in generale il tema della rappresentanza e della partecipazione. Per rispondere a questa crisi, alcuni Paesi europei hanno da tempo e progressivamente adottato strategie, pratiche e modalità che hanno rinnovato gli strumenti di dialogo tra i diversi tessuti vitali della società, come insegna il caso di Copenaghen, città che ha di recente inaugurato il termovalorizzatore che ospita tre poste da sci e diversi ristoranti e che punta a diventare il principale luogo di attrazione della città.

Nell’incapacità di cercare nuove modalità di confronto, il no si è progressivamente inasprito e la distanza tra gli attori coinvolti è radicalmente aumentata. Il no sta prevalendo e dalla opposizione alle infrastrutture è diventato trasversale, sostenuto anche da una parte della politica. Dai vaccini al cibo, dalle costruzioni alla tavola è tutto un fiorire di no, di senza e di contrasti che rendono il Paese vulnerabile e troppo poco attraente, anche a causa di un sistema burocratico sempre più farraginoso e complicato. Negli ultimi venti anni, soprattutto a seguito di Tangentopoli, in Italia si è consolidata la moda del senza, del no, dello “zero”, della privazione, e alla fine la domanda che ci dovremmo porre inevitabilmente sarà la seguente: quale è stato il bilancio di tutti questi no?”.


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