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Crisi Ilva. Arcelor Mittal lascia Taranto

Arcelor Mittal fa le valige e se ne va, rimettendo le lancette indietro di quasi due anni per l’acciaieria più grande d’Europa. Poche ore fa il gruppo franco-indiano che dal 2017 ha in gestione l’Ilva, ha notificato ai commissari straordinari dell’azienda la volontà di rescindere l’accordo per l’affitto con acquisizione delle attività di Ilva e di alcune controllate, in base all’intesa siglata oltre un anno fa, in seguito all’aggiudicazione del bando indetto dal Mise. Quello che fino a pochi giorni fa era solo un oscuro presagio (qui l’intervista al leader della Fim-Cisl, Marco Bentivogli), dunque, è ora diventato drammatica realtà. L’Ilva e le sue migliaia di risorse umane tornano improvvisamente all’anno zero, senza un padrone (mancante per la verità dal 2013, anno del commissariamento dopo l’addio dei Riva) e senza la ragionevole prospettiva di un futuro. E questo nonostante l’esecutivo abbia assicurato che l’Ilva non chiuderà. Ma che cosa è successo?

LE RAGIONI DI MITTAL

Non è difficile immaginare che cosa abbia spinto uno dei maggiori gruppi mondiali dell’acciaio ad abbandonare la nave. Quello scudo penale contro i reati ambientali e riservato ai manager Mittal, improvvisamente fatto cadere la scorsa settimana in Parlamento su pressing del Movimento 5 Stelle. Una tutela che garantiva ai gestori dell’Ilva una buona soglia di immunità nel mentre delle operazioni di risanamento ambientale intorno al sito pugliese, che ora è improvvisamente venuta meno. Troppo, anche per un gruppo dalle spalle larghe come Mittal.

Nella missiva si sottolinea come il contratto preveda che, “nel caso in cui un nuovo provvedimento legislativo (il decreto Salva Imprese, recante in dote lo stop allo scudo, ndr) incida sul piano ambientale dello stabilimento di Taranto in misura tale da rendere impossibile la sua gestione o l’attuazione del piano industriale, la società ha il diritto contrattuale di recedere dallo stesso contratto“. E dunque, con effetto dal 3 novembre 2019 “il Parlamento italiano ha eliminato la protezione legale necessaria alla società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustificando così la comunicazione di recesso”.

IL PESO DEI GIUDICI

Non è tutto. Non c’è solo il Parlamento di mezzo, c’è anche la giustizia locale. E Mittal lo rileva. “In aggiunta i provvedimenti emessi dal Tribunale penale di Taranto obbligano i commissari straordinari di Ilva a completare talune prescrizioni entro il 13 dicembre 2019 pena lo spegnimento dell’altoforno numero 2”. Uno stop che “renderebbe impossibile attuare il suo piano industriale e, in generale, eseguire il contratto”, si legge. La società si era impegnata a realizzare investimenti ambientali per 1,1 miliardi, produttivi per 1,2 miliardi e a pagare la ex Ilva (che perde due milioni al giorno, anche questo un fattore che ha avuto un peso nella scelta), una volta terminato il periodo di affitto (18 mesi a partire dal primo novembre 2018), 1,8 miliardi di euro (detratti i canoni già versati).  Nei giorni scorsi il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli aveva incontrato Mittal, spiegando che un nuovo vertice con azienda e sindacati si sarebbe dovuto svolgere a metà novembre. Vertice che forse non arriverà mai.

E ADESSO?

La domanda che tutti si fanno adesso è: e ora che succede. Mittal, da contratto, ha tempo 30 giorni per restituire l’acciaieria ai commissari. Poi, si entrerà nella terra di nessuno. Un intervento pubblico diretto dello Stato? Ma con quale veicolo? E le norme Ue sugli aiuti di Stato? Come aggirarle nel caso? Il tutto mentre va ancora concluso il salvataggio di un’altro grande asset, Alitalia. Di sicuro al momento c’è solo l’ira dei sindacati, mentre in queste ore al Mise è stato convocato un vertice di urgenza. “Apprendiamo la notizia della volontá di Arcelor Mittal di comunicare ai Commissari l’intenzione di recedere il Contratto. Significa che partono da oggi i 25 giorni per cui lavoratori e impianti ex Ilva torneranno all’amministrazione straordinaria. Tra le motivazioni principali, il pasticcio del Salva imprese”sullo scudo penale.  Un capolavoro di incompetenza e pavidità politica: non disinnescare bomba ambientale e unire bomba sociale”. Firmato, Marco Bentivogli.

 

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