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Imprese Estere in Italia: ogni occupato genera 4 nuovi posti di lavoro

Mattioli: “Benefici anche per le Pmi con le quali sono legate da rapporti di filiera”
Sidoli: “Mantenere alta l’attenzione su imprese estere, volano di crescita”

Per ogni euro investito dalle grandi imprese estere in Italia si determina nella nostra economia una crescita complessiva della produzione industriale di circa 2,8 euro, considerando effetti diretti, indiretti e indotti. L’incremento del valore aggiunto del settore privato è pari a 3,3 euro. In termini occupazionali la variazione è poco più alta: per ogni occupato in più nelle grandi multinazionali estere, si generano nell’intero sistema economico quattro posti di lavoro aggiuntivi. Questi i dati contenuti nel primo di tre volumi dal titolo “Grandi Imprese Estere in Italia: Un valore strategico” realizzato dall’Advisory Board Investitori Esteri e dal Centro Studi Confindustria in collaborazione con l’Istat.
La pubblicazione vuole raccontare il valore strategico delle grandi imprese a capitale estero per l’economia italiana, oltre a descrivere i fattori di attrazione del nostro paese. Le imprese estere, infatti, pur rappresentando soltanto lo 0,3% del totale delle aziende residenti in Italia, danno lavoro al 7,9% degli occupati del settore privato, contribuiscono al 15,1% del valore aggiunto, generano il 18,3% del fatturato, il 14,4% degli investimenti e finanziano ben il 25,5% della spesa privata in ricerca e sviluppo.
Malgrado abbia le potenzialità economiche per essere un paese molto attrattivo – emerge dalla ricerca – storicamente l’Italia ha attirato meno investimenti diretti esteri rispetto alle maggiori economie europee. La causa è da ricercarsi soprattutto in fattori esogeni all’impresa, come il sistema burocratico, la lentezza della giustizia, un sistema fiscale complesso e un quadro normativo instabile. Bisogna comunque dire che l’aumento degli Investimenti diretti esteri (IDE) nel 2018 (+10,5%) ha portato la nostra economia dal 19° al 15° posto nella graduatoria dei principali paesi di destinazione degli IDE a livello globale. Tuttavia si tratta pur sempre di livelli molto contenuti: si è passati dai 21,7 miliardi di dollari nel 2017 ai 24,3 miliardi del 2018, con un trend che , al di là delle oscillazioni annuali, risulta sostanzialmente piatto dal 2013. Le imprese a capitale estero, inoltre, hanno mostrato una resilienza significativa durante e dopo la crisi iniziata nel 2008: dopo un’iniziale riduzione del numero di occupati e di imprese, già a partire dal 2013 si è invertito il trend e nel 2016 sono stati superati i livelli pre-crisi. Secondo le stime contenute nella ricerca, ricavate dall’elaborazione dei bilanci aziendali, nel 2017 le multinazionali estere hanno accresciuto il loro valore aggiunto del 4,9% e aumentato l’occupazione dell’1,9%, seguendo un andamento positivo, seppure a un ritmo meno intenso rispetto al 2016.

“I dati contenuti nel rapporto consentono di evidenziare il beneficio derivante dalla presenza delle imprese estere anche per le nostre Pmi con le quali sono legate da rapporti di filiera. Le imprese estere, infatti, favoriscono la trasmissione di nuova conoscenza, trasferimento tecnologico, spinta all’introduzione di processi produttivi innovativi, miglioramento delle competenze e, soprattutto, accesso a reti di produzione internazionali e a nuovi mercati”. Commenta Licia Mattioli, vicepresidente per l’Internazionalizzazione e presidente dell’Advisory Board investitori esteri di Confindustria. “Le ragioni per considerare strategiche le grandi imprese estere sono molteplici: hanno una maggiore dimensione rispetto alle imprese residenti, quindi contribuiscono a rafforzare la capacità della nostra economia di affrontare le accresciute esigenze della competizione globale, generano effetti positivi su indotto, filiere e accesso ai mercati esteri, operano in settori ad elevata tecnologia favorendo gli investimenti in ricerca e innovazione. Infine sono particolarmente focalizzate nell’integrazione della sostenibilità ambientale e del benessere aziendale nelle loro strategie di business”.

“Dal rapporto – sottolinea Eugenio Sidoli coordinatore dell’Advisory Board investitori esteri di Confindustria – appare evidente il contributo delle imprese estere all’agenda della crescita del Paese: sono parte integrante del tessuto produttivo nazionale, impiegano talento italiano ed esportano il ‘made in Italy’ nei mercati globali. Molte di queste imprese hanno cittadinanza italiana da decenni e sostengono una quota significativa dei flussi di investimento verso l’Italia. La principale responsabilità che ha il Paese – conclude Sidoli – è, quindi, quella di mantenere alta l’attenzione su questo segmento dell’economia nazionale per cogliere qualunque opportunità di sviluppo e anticipare le possibili crisi che possano manifestarsi”.

È in linea con questi risultati la decisione dell’Advisory Board Investitori Esteri di Confindustria di puntare sul Progetto Retention avviato all’inizio del 2019. Questa iniziativa punta a fidelizzare le imprese estere attraverso la realizzazione di un servizio di customer care in coordinamento con le autorità locali e a rafforzare il rapporto tra aziende e Regioni e Comuni, favorendo quindi la conoscenza in anticipo di opportunità e minacce. Un dialogo collaborativo tra le Multinazionali e gli organi di governo a tutti i livelli è, infatti, considerata precondizione affinché le decisioni dei policy makers siano prese in modo informato.


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