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Quanto investono in Difesa i Paesi Nato (e l’Italia)

Sono arrivati dal quartier generale della Nato i biglietti da visita per l’imminente vertice di Londra tra capi di Stato e di governo. Sono i livelli di spesa per ciascuno Stato membro, un tema su cui il presidente Donald Trump, sin dal suo arrivo alla Casa Bianca, ha costretto l’Alleanza Atlantica a porre particolare attenzione. Il divario tra gli Stati Uniti e gli altri alleati resta notevole. Per il 2019, la spesa Usa ammonta a 730 miliardi di dollari, mentre Europa e Canada arrivano insieme a poco più di 309 miliardi.

LE MOSSE DI USA E GERMANIA

A fare il quadro della situazione è l’ultimo report del segretario generale Jens Stoltenberg, aggiornato rispetto ai dati dello scorso giugno. Il numero uno dell’Alleanza cerca da tempo di porre l’accento sul trend in aumento, soprattutto al fine di placare le insofferenze del presidente americano da cui arrivano periodiche strigliate agli alleati. Una di queste è giunta anche all’Italia in occasione del recente viaggio a Washington del presidente Sergio Mattarella, sebbene il bersaglio preferito da Trump sia la Germania. Berlino tuttavia ha cercato di fare i compiti a casa. Pochi giorni fa il dicastero guidato da Annegret Kramp-Karrenbauer ha annunciato per il 2020 un aumento di oltre tre miliardi per il proprio budget, che salirà dunque dai 47 miliardi di euro attuali a 50,3 miliardi, passando dall’1,36% del Pil all’1,42%. La stessa Angela Merkel, intervenendo al Bundestag e criticando le parole di Emmanuel Macron sulla Nato in “morte cerebrale”, ha difeso la centralità dell’Alleanza, spiegato che la Germania deve assumersi maggiori responsabilità e posto l’obiettivo del 2% al 2030. Ieri, la portavoce della cancelliera Ulrike Demmer ha confermato un incontro bilaterale tra Trump e Merkel a margine del vertice di Londra.

IL REPORT

Il dibattito, che rischiò persino di far esplodere il summit di Bruxelles dello scorso anno, è proprio sulla fatidica soglia del 2%, quota del Pil da destinare alla difesa entro il 2024, come previsto dagli impegni assunti in Galles cinque anni fa. La media della Nato è al 2,52%. Anche in questo caso pesa il dato statunitense. Washington destina alla Difesa più del 3,4% del proprio Pil. L’Europa e il Canada, insieme, arrivano all’1,57%, in aumento rispetto all’1,52% dello scorso anno. Poi, c’è il paramento del 20% (le cosiddette capability), cioè l’obiettivo, sempre entro il 2024, di destinare un quinto delle spese per la difesa agli equipaggiamenti. Intrecciando le due soglie, si nota come solo sette Paesi su 29 abbiano già soddisfatto i requisiti sanciti in Galles: Stati Uniti, Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia, Regno Unito e Romania. Si avvicinano Polonia, Lituania e Lettonia. Rispettose del 2% figurano anche Grecia ed Estonia, mentre si avvicinano Turchia, Francia e Norvegia, tutte e tre già sopra la soglia del 20% per le capacità.

LA SITUAZIONE ITALIANA

Resta difficile la situazione del nostro Paese, che secondo i dati Nato destina alla difesa 21,4 miliardi di dollari nel 2019, in lieve aumento rispetto ai 21,2 del 2018. A metterci in difficoltà è l’obiettivo del 2%. L’Italia spende per la difesa l’1,22% del proprio Pil, praticamente quanto lo scorso anno. Tra i principali Paesi europei, solo la Spagna fa peggio, con lo 0,92%. L’altra soglia, relativa al 20%, risulta superata già da diversi anni. A saltare agli occhi è però soprattutto la differenza in termini assoluti rispetto ai nostri principali alleati (e competitor) del Vecchio continente. A fronte dei 21 miliardi italiani (in euro), la Francia ne spende 44, la Germania 47 e il Regno Unito addirittura 55. Tre giorni fa, di fronte alle commissioni Difesa e Senato, il ministro Lorenzo Guerini è tornato sul tema: “Il 2% non è realisticamente realizzabile entro il 2024”, ha ammesso, visto che per raggiungerlo, “occorrerebbero 14 miliardi in più” rispetto ai 21 circa ora destinati alla Difesa. Il problema comunque è il trend. “Dal 2014 – ha ricordato Guerini – non vi è stata crescita significativa”.

IL CAMBIO DI ROTTA DI GUERINI

La presa di coscienza permette comunque di guardare oltre. “Il governo – ha detto il titolare di palazzo Baracchini – si sta muovendo verso un incremento dell’investimento destinato alla Difesa, così da tendere progressivamente alla media degli altri alleati europei in maniera credibile e sostenibile”, cioè all’1,55%. Centrale comprenderne le motivazioni: aumentare gli investimenti per la Difesa serve “non tanto per adempiere agli impegni assunti con la Nato”, quanto “per uno strumento militare efficiente e commisurato a ruolo che Italia vuole avere su scena internazionale”. Significa che tendere al 2% “rappresenta prioritariamente un’esigenza nazionale”. La strategia sul tema della spesa per il vertice Nato è comunque chiara e serve a mettersi al riparo da eventuali nuove critiche dagli alleati che già superano entrambe le soglie previste.

LA STRATEGIA

L’Italia continuerà a fare pressioni affinché si tenga conto di tutte le cosiddette “3C”, cioè cash (il 2%), capability (il 20%), e contribution (alle missioni comuni). Difatti, se si considerassero solo i parametri di spesa, l’Italia risulterebbe meno coinvolta nella difesa collettiva di Paesi come Bulgaria o Grecia che, con il dovuto rispetto, hanno un peso minore all’interno dell’Alleanza. Inoltre, seppur carente sulla prima C, il nostro Paese può vantare un buon posizionamento sulle altri due. Circa le capacità, un carta importante che Giuseppe Conte potrà presentare ai colleghi è il debutto, tutto italiano, della quinta generazione aeronautica nell’Alleanza Atlantica, grazie al dispiegamento ad ottobre di sei F-35 dell’Aeronautica militare in Islanda. Per il contributo alle missioni, come notato da Mattarella alla Casa Bianca, l’Italia è seconda solo agli Stati Uniti. Per capirlo basta notare in quante delle operazioni targate Nato, riportate in un altro report di Stoltenberg preparativo del vertice, sia presente la bandierina italiana. Poi, sebbene non abbia ottenuto un grande riscontro, resta in piedi la proposta di considerare nel computo del 2% anche le spese per la cyber-security e i contributi alle nuove iniziative della Difesa europea.

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