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La strategia italiana per il Libano (ancora in protesta). La visita di Guerini

La visita in Libano è la prima all’estero di Lorenzo Guerini da ministro della Difesa, almeno escludendo la partecipazione a Bruxelles al vertice con i colleghi della Nato a fine ottobre. Una visita non casuale, vista la rilevanza del contingente italiano lì presente, né facile, dato che il Paese è alle prese da oltre un mese con le maggiori proteste da almeno il 2005, anno della Rivoluzione dei cedri. Non a caso nelle sue linee programmatiche il ministro ha parlato di “un contesto estremamente delicato”.

GLI INCONTRI

Accompagnato dal capo di Stato maggiore della Difesa, Enzo Vecciarelli, e accolto dall’ambasciatore italiano a Beirut Massimo Marotti, il ministro è atterrato questa mattina per una due-giorni con incontri con tutti i vertici istituzionali libanesi: il capo dello Stato Michel Aoun, il presidente dell’Assemblea nazionale Nabih Berri, e il primo ministro uscente (dimessosi proprio per le proteste) Saad Hariri. Guerini incontrerà anche il collega (pure lui uscente) Elias Bou Saab. In programma pure l’incontro con i militari italiani presenti nel Paese, con cui il ministro aveva già avuto modo di parlare a inizio novembre, in collegamento dal Comando operativo di vertice interforze.

LA MISSIONE ITALIANA

Il contingente italiano opera nell’ambito dell’operazione Leonte, contributo italiano alla missione Unifil dell’Onu. La presenza autorizzata per quest’anno prevede un impiego di oltre mille militari, con poco meno di trecento mezzi terrestri e sei velivoli. Un contributo tanto importante che ad agosto dello scorso anno il comando di Unifil è stato assegnato per la quarta volta all’Italia, e in particolare al generale Stefano Del Col, alla guida di oltre diecimila militari da 42 Paesi. In passato tale incarico era stato coperto dai generali Claudio GrazianoPaolo Serra e Luciano Portolano.

GLI OBIETTIVI

Da anni il contributo italiano alla missione Onu viene confermato in effettiva continuità dal Parlamento, accompagnato sempre dall’appoggio governativo anche nel caso dell’esecutivo giallo-verde, quello in cui il M5S aveva espresso maggiori ambizioni per la revisione degli impegni all’estero. A inizio settimana, informando a Bruxelles i colleghi europei sull’attacco di Kirkuk, il ministro Luigi Di Maio (oggi a Washington per l’incontro della Coalizione internazionale anti-Isis) ha affiancato all’Iraq proprio il Libano nello spiegare che tali Paesi restano fondamentali per la sicurezza europea.

GLI INTERESSI STRATEGICI

D’altra parte, ci spiegava il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze (Coi), il Paese dei cedri “si trova nell’area più immediata di nostro interesse strategico”. Non ci sono dubbi, aggiungeva, “sul fatto che l’Italia risenta delle turbolenze che si originano nel Paese e che risentirebbe pesantemente di un’eventuale espansione della crisi siriana, in cui il Libano è coinvolto per diversi motivi”. Per questo, notava, “è essenziale riuscire a mantenere una presenza politica definita nell’area”.

LE PROTESTE…

Ciò vale ancora di più alla luce delle proteste in corso, radicate in un Paese alle prese con una profonda crisi economica e con un sistema istituzionale (fondato sulla divisione confessionale delle cariche pubbliche) che non convince più la popolazione. Nonostante i grandi riflettori europei si siano abbassati negli ultimi giorni, la situazione fatica a trovare stabilità. Diverse scuole restano chiuse, così come molti corsi universitari e filiali bancarie. Le dimissioni del premier Hariri non hanno dissolto l’insoddisfazione popolare, anche perché il presidente Aoun non ha avviato ancora le consultazioni per formare un nuovo esecutivo, e anzi ha rilasciato un’intervista in cui ha confermato l’intenzione della classe politica di restare al potere.

…E IL PERCHÉ

Le manifestazioni, spiegava a Formiche.net l’esperto Matteo Bressan, autore insieme a Laura Tangherlini di Libano nel baratro della crisi siriana (Poiesis 2014), “non sono politiche, ma partono davvero dal basso, dagli ultimi, da tutti coloro che si sentono marginalizzati e penalizzati, soprattutto economicamente, dalla situazione attuale e dal sistema confessionale”. Si tratta di una movimentazione legata “alla crisi economica, alla corruzione, all’assenza di riforme e al sistema confessionale, che se da un lato è garanzia di rappresentanza – un modello sul quale sono anche state spese lodi da parte di altri Paesi – dall’altro è l’unico criterio di selezione della classe dirigente”. In questo contesto si inserisce la visita del ministro Guerini, la prima all’estero dopo l’insediamento a palazzo Baracchini.

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