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Ciò che divide Macron e Merkel unisce Italia e Germania. Parla Pelanda

Lo strappo di Macron sulla Nato ha squarciato il velo sul conflitto latente tra Parigi e Berlino. Per l’Italia si aprono così spazi per nuove intese con la Germania, visti interessi convergenti sul fronte strategico (a partire dall’Alleanza Atlantica), europeo e industriale. Parola del professor Carlo Pelanda, docente all’Università Guglielmo Marconi ed esperto di studi strategici e relazioni internazionali, che Formiche.net ha raggiunto per commentare le divergenze in emersione tra Germania e Francia. Pochi giorni fa, il New York Times ha riportato un duro confronto tra Emmanuel Macron e Angela Merkel a Berlino lo scorso 9 novembre in occasione delle celebrazioni per la caduta del duro. Intanto, oggi si è aperta nella capitale tedesca la Security Conference, con l’Italia che figura quale nazione partner dell’iniziativa che ogni anno riunisce la comunità europea della difesa e sicurezza. Oltre al ministro Lorenzo Guerini ci sono tutti i vertici delle Forze armate e i rappresentanti delle maggiori industrie del comparto.

Professore, lei in passato ha parlato di un vero e proprio conflitto tra Germania e Francia. È quello che si sta manifestando?

Assolutamente sì. C’è da sempre una divergenza strategica tra Parigi e Berlino, rimasta tuttavia latente fino all’arrivo di Emmanuel Macron all’Eliseo. Ricordo che quando ero consigliere del presidente Cossiga, il capo dello Stato francese François Mitterrand andò a Berlino due mesi prima della caduta del muro in visita ufficiale alla Repubblica democratica tedesca. Era lì per lanciare un messaggio al cancelliere della Repubblica federale Helmut Kohl: non pensare di mangiarti la Germania est senza prima metterti d’accordo con me. Una divergenza c’è sempre stata, sebbene siano riusciti a contenerla trovando compromessi. Uno di questi fu la nascita dell’euro.

Ci spieghi meglio.

I francesi accettarono la riunificazione tedesca a condizione che la Germania mollasse il marco. Nei trattati relativi all’euro Parigi propose un modello di tipo confederativo per l’Europa, pensando correttamente che alla moneta unica dovesse corrispondere un unico gettito fiscale. I tedeschi rifiutarono l’idea per difendere il principio di sussidiarietà, convincendo i francesi ad abbandonare la priorità dell’europeizzazione della Germania e accettare di conseguenza la germanizzazione dell’economia europea. È questo il conflitto latente tra i due Paesi, mai convergenti come interessi, ma sempre capaci di trovare intese in situazioni conflittuali. È un’alleanza tra nemici.

E in che modo la situazione è cambiata con l’arrivo di Macron?

Il conflitto latente è iniziato a procedere verso il conflitto aperto perché l’attuale presidente francese ha spinto con più forza l’idea di una sovranità europea post-Nato. Ovviamente, pur enfatizzando il rapporto privilegiato con la Francia, la Germania ha sempre rifiutato tale prospettiva. Il meccanismo di finti equilibri è dunque saltato. Macron spinge per la sovranità europea chiedendo soldi e investimenti su difesa, spazio e tecnologie, puntando a prendere una posizione terza tra America e Cina. La Germania è d’accordo sulla posizione terza, ma la interpreta in maniera passiva. Berlino ha un interesse mercantilistico: l’accesso fluido a entrambi i mercati, cinese e americano. È il modello di neutralità della grande Svizzera, che però implica restare dentro la Nato. Macron invece vuole soldi europei per un sistema di difesa a conduzione francese, che abbia al suo servizio persino il sistema bancario.

Eppure sono tanti i progetti collaborativi franco-tedeschi in campo industriale, come il caccia di sesta generazione.

A livello politico si mantengono le buone relazioni formali, ma anche a livello industriale ci sono parecchie divergenze. In Airbus volano gli stracci. Sul progetto per il carro armato europeo si stanno letteralmente picchiando. Sul caccia di sesta generazione il caos è ancora più evidente. Parigi ha voluto che la Germania accettasse il progetto. Berlino ha dovuto cedere, rifiutando su pressione francese l’acquisto degli F-35 e innescando per questo la rivolta dei militari. Questi ultimi sanno bene che la Francia non ha la tecnologia per costruire un caccia di sesta generazione, a differenza di quanto possono fare Italia e Regno Unito.

Lo possono fare perché hanno l’F-35, e quindi sono passati dalla quinta generazione?

Sì. L’F-35 è un caccia di quinta generazione e mezzo. Si tratta di sistemi con una superiorità basata sulla rete in cui si muovono. Anche i francesi hanno capito l’errore e stanno correggendo la traiettoria provando a convergere con il progetto britannico del Tempest (a cui l’Italia ha aderito, ndr). Londra per ora ha risposto picche, ma ci potrebbe anche pensare, magari ponendo come condizione un buon trattato di libero scambio post-Brexit. In sintesi, l’asse franco-tedesco tanto chiacchierato non è mai esistito, ma forse adesso esisterà ancora meno.

Che comporta questo per il nostro Paese? Oggi a Berlino si tiene la prima giornata di una Security Conference di cui l’Italia è nazione partner.

Per l’ennesima volta nella storia, pur non sopportandosi sul lato delle emozioni, Italia e Germania hanno interessi comuni: il mantenimento della Nato, l’espansione dell’Unione europea e i buoni rapporti con la Russia. Inoltre formano un unico sistema industriale. La Francia è grande cliente dell’Italia con una buona integrazione industriale, che però risulta per noi molto più intima con la Germania. C’è in questo un elemento interessante: mentre la Francia preme per conquistare l’Italia così da bilanciare il potere economico e finanziario tedesco, Berlino non sta agendo per trasformare il nostro Paese in un campo di battaglia.

Perché?

Perché si muove in modo intelligente, potendo contare su rapporti bilaterali strettissimi e diretti con Stati Uniti, Mosca e Pechino. La Germania non ha bisogno di combattere per l’Italia: le basta che la nostra industria continui a chiudere contratti con quella tedesca. Inoltre, Macron può anche mettere in difficoltà Berlino su una serie di fronti, ma non riuscirà mai a minacciare la fedeltà atlantica di Germania e Italia. Roma e Berlino non convergono per amore, ma perché sono parte del blocco europeo pro-Nato a cui la Francia si dovrà sempre adeguare, pur cercando costantemente modi per svicolarsi o tentando di correggere la propria tattica come nel caso del Tempest.

A proposito, la settimana prossima ci sarà il summit Nato di Londra con tutti i capi di Stato e di governo. Considerando che si attendono nuovi rimproveri da Trump sul fronte della spesa, non c’è il rischio che la questione esploda?

Nulla si può escludere con Trump. Tuttavia, se si leggono i resoconti del vertice dei ministri degli Esteri della scorsa settimana in preparazione del summit di Londra, si nota una svolta importante: la Nato ha ufficializzato lo Spazio quale dominio operativo. L’Alleanza appare dunque molto rivitalizzata.

Non è in “morte cerebrale”?

Assolutamente no. L’anno scorso è arrivato l’accordo sul cyber-spazio quale quarto dominio operativo. Ora quello sullo spazio eso-atmosferico. Dalla caduta del muro di Berlino la Nato ha cercato nuove aree di proiezione in maniera orizzontale, senza un grande risultato. Adesso ha deciso di muoversi in verticale, con una serie di importanti implicazioni a livello industriale.

Quali?

La Nato non è un soggetto di procurement, ma definisce standard di interoperabilità per armamenti e sistemi a cui gli alleati sono tenuti ad adeguarsi. Ciò varrà anche per lo Spazio, con la decisione di riconoscerlo quale dominio operativo a cui la Francia ha dato consenso senza batter ciglio. Significa che se l’Europa vuole avere una difesa spaziale e cibernetica Europea, deve farla con gli americani. Per l’Italia è una buona notizia, primo perché ci permetterà di non essere mangiati dall’industria aerospaziale francese, secondo perché è meglio trattare con gli americani che hanno tecnologia vera. Infine, nell’ottica della competizione con la Cina, la nuova missione della Nato potrebbe dotare di un’azione più stringente il Coordinating committee for multilateral export controls (CoCom), il comitato che controllava le esportazioni di tecnologie dei membri dell’Alleanza. Altro che morte cerebrale.


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