Skip to main content

Opzione Amicizia cristiana. I cattolici ricomincino (anche) dalla politica

Di Giancarlo Chiapello

Per una coincidenza negli stessi giorni si sono accumulati interventi, con una infinita sequela di polemiche su giornali e social, sull’opportunità o meno del dialogo a 360° da parte della Chiesa e sulla presenza politica dei cattolici e due anniversari. La contrapposizione non poteva essere più netta.

Proviamo a riavvolgere il film: quasi un anno fa ormai, all’inizio dell’anno centenario dell’Appello ai Liberi e Forti di don Luigi Sturzo con cui nacque il Partito Popolare Italiano ed iniziò la lunga e feconda tradizione del popolarismo, dello sviluppo dell’idea democratico cristiana, il cardinal Bassetti, presidente della Cei, parlò della necessità di superare la frattura tra cattolici della morale e cattolici del sociale per riscoprire un protagonismo originale, diciamo fuori da quall’ondata a servizio di rivoluzioni altrui per usare un’immagine di don Mazzolari, perso e ridotto all’irrilevanza da un quarto di secolo. Per mesi siamo andati avanti assistendo a un dibattito meramente immerso nelle contingenze politiche, senza respiro, tattico e per nulla strategico volto più a smontare che a comprendere quella indicazione. Tante sigle e siglette hanno iniziato ad agitarsi più attraverso articoli che in mezzo al popolo, preoccupati di dare risposte in assenza di domande.

L’inquietudine di un popolo, che in un processo supinamente accettato di disintermediazione sociale si esprime ormai o con gli sfoghi sui social o nelle urne ondeggiando senza ancoraggi, è stata vista più come qualcosa da stigmatizzare in un’ottica gramsciana, con sfiducia (in chiave europea quella che si ritrova nel Manifesto di Ventotene così lontano dalla visione di De Gasperi, Adenauer, Schuman, Monnet) che come un sentimento da comprendere, accompagnare, curare: sarebbe utile a tal riguardo rileggere le riflessioni di un grande teologo domenicano, padre Timothy Radcliffe.

Tale inquietudine ha cambiato lo stesso campo politico italiano dove le tifoserie destra/sinistra, abbarbicate a un leaderismo esasperato, hanno lasciato il campo a quella assestata sulla distinzione populisti/radicali, con incursioni di entrambi nel campo altrui, che inquadrano i cattolici, inquieti tanto quanto tutti se non di più, o in truppe di complemento cristianiste, si veda tale definizione ben spiegata dal filosofo francese Remy Brague, o in tattiche frontiste in cui la visione sociale cristiana non può che sparire con una anacronistica spinta contro le identità. La frattura politica così riorganizzata, priva di sogni e propensione al futuro, legata ad una certa tristezza e decadenza, incapace di formare classe dirigente guida ma solo una retroguardia che si muove al muoversi delle inquietudini, ha teso a penetrare all’interno del mondo cattolico sguarnito: al suo interno troppa autoreferenzialità invecchiata dei laici e tanti, troppi che hanno celebrato don Sturzo ma contemporaneamente hanno continuato a denigrare una grande storia, quella popolare radicata nell’idea democratico cristiana, che non può essere scissa dagli sforzi di tanti uomini e donne che hanno animato le nostre comunità, fatto l’Europa, reso grande l’Italia. Le parole del cardinal Bassetti sono state lasciate indietro!

Arriviamo ai giorni nostri: i cattolici del sociale e i cattolici della morale si fanno cultori della frattura. Per commentare le loro riflessioni accese si potrebbe ricorrere al Coro del dramma manzoniano “Il Conte di Carmagnola”: “S’ode a destra uno squillo di tromba;/a sinistra risponde uno squillo:/d’ambo i lati calpesto rimbomba/da cavalli e da fanti il terren./Quindi spunta per l’aria un vessillo;/quindi un altro s’avanza spiegato;/ecco appare un drappello schierato;/ ecco un altro che incontro gli vien./Già di mezzo sparito è il terreno;/già le spade rispingon le spade;/l’un dell’altro le immerge nel seno;/gronda il sangue; raddoppia il ferir”. E un popolo inquieto rimane semplicemente lontano, all’orizzonte e in mezzo a esso il cristianesimo rischia di essere esculturato.

Intanto arriva il 5 novembre, anniversario della morte di due giganti democristiani, due statisti, due uomini dall’indole diversa ma uniti da una grande fede, uno stile mite ma capace di una dialettica forte e una coraggiosa capacità d’azione in mezzo al popolo ed una credibilità straordinaria, Giorgo La Pira e Benigno Zaccagnini. Il confronto tra lo scontro sempre più ideologico, (verrebbe da dire ormai eterodiretto o in via di americanizzazione inteso come collegato alle due figure che rappresentano a livello internazionale le due tendenze, Bannon e Soros) e la loro testimonianza salta all’occhio in maniera impietosa.
In tale situazione come ricostruire un protagonismo? Come ridare un pensiero a un’azione? Come ripassare dall’idea al fatto? Come riconquistare un ruolo in mezzo al popolo?

Dagli Stati Uniti arriva la suggestione dell’“opzione Benedetto”, una mal interpretata idea di quanto fece San Benedetto col monachesimo per cui sconfitti ci si ritira in luoghi di riflessione per preparasi per un tempo migliore (si potrebbe immaginare lasciando qua e là qualche vedetta). Scopiazzare “in tono minore” le azioni del passato sembra riduttivo, due grandi appelli come quello sturziano ai “Liberi e Forti” e quello di Mino Martinazzoli “a quanti hanno passione civile” sembrano più che sufficienti ancora oggi. Forse meglio un’“opzione Camaldoli”, o meglio, declinata all’oggi, “opzione Amicizia Cristiana”, ritrovarsi mentre anche l’associazionismo cattolico si possa rimettere in cammino per ritrovare un ruolo nella società, per riscoprire con forze vive, senza preoccupazione per gli scranni parlamentari e senza accademismi, la voglia di ricominciare insieme. Forse meglio riprendere il bandolo di quella dimensione utopica, mai moderata, certamente temperata e al contempo appassionata, tracciata dal grande giurista Giuseppe Capograssi, tra i fautori del “Codice di Camaldoli” secondo il quale “le utopie sono il mezzo e l’appoggio che le volontà si prendono per portare innanzi questo terribile lavoro della costruzione di questo mondo” non perdendo più le evidenze e mettendosi necessariamente all’opposizione dello stato delle cose.

Ritrovando il gusto del dialogo e dell’incontro che non significa negoziare, come ricordato a Firenze nel 2015 da Papa Francesco, e quindi il dovere all’identità si può innescare un ritorno al popolarismo di cattolici, in politica a causa della propria fede, che vogliano starci come una compagnia di amici liberi e forti che ritrova anche il popolarismo europeo senza servilismi e paure. Allora si possono suscitare le domande (la prima delle quali non può essere con chi sto, perché sarebbe fuori dal contesto politico così come delineatosi) a cui dare le giuste risposte e impegnarsi, come La Pira e Zaccagnini insegnano con la loro testimonianza, per una democrazia integrale in campo aperto, senza tatticismi. C’è la battaglia per la difesa della rappresentanza e delle autonomie locali, ad esempio che incombe.
Però… c’è un altro però: urge superare in tutto questo dibattito la mancanza dei giovani e la sensazione da dopo lavoro-ferroviario.

×

Iscriviti alla newsletter