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Perché simpatizzo (sempre di più) per le Sardine. Il commento di Nicodemo

Scriveva Catullo “rumoresque senum severiorum/omnes unius aestimemus assis” (e le chiacchiere dei vecchi troppo severi stimiamole tutte soltanto un soldo). Il poeta latino parlava dei baci che si scambiava con Lesbia, ma con un po’ audacia possiamo utilizzare questi meravigliosi versi per zittire l’insopportabile borbottio di quelli che vogliono spiegare il mondo ai ragazzi delle Sardine.

Intendiamoci, nella società dell’opinione tutti hanno il diritto di dire la propria, figuriamoci se mi scandalizzo dei fiumi di inchiostro che i sedicenti opinion maker italiani stanno versando per lamentarsi di questo nuovo movimento che, partito da Bologna, si sta allargando a macchia d’olio in tutto il Paese. Però vi confesso, quanto più leggo le loro perle di saggezza, tanto più simpatizzo per le Sardine. I motivi sono tendenzialmente tre.

Il primo, non sopporto il paternalismo nei confronti dei più giovani, quell’aria di supponenza da pulpiti e cattedre che solo un Paese profondamente gerontocratico può considerare autorevoli. Siamo dalle parti della stessa arroganza con cui si è analizzato il fenomeno Greta. D’altronde come cantava il poeta Faber: “Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio”.

Il secondo, non sopporto il tentativo maldestro di tutti quelli che vogliono mettere un cappello politico su un movimento che se certamente non è apolitico, ha la sua forza nella spontaneità e nel desiderio di essere hic et nunc. Allo stesso tempo, e qui hanno un’enorme responsabilità i media nazionali, mi preoccupa l’eccessiva mediatizzazione del movimento, che mi ricorda drammaticamente quanto già avvenuto con i Girotondi prima e con il Popolo Viola poi. Anche in questo caso Giovanni Lindo Ferretti ci presta le parole adatte: “Non fare di me un idolo mi brucerò, se divento un megafono m’incepperò”.

Infine, il terzo, non sopporto chi banalizza le Sardine, chi tra cinismo e invidia usa parole di disprezzo (nel peggiore dei casi) e nostalgia (nel migliore). Li vedo mormorare tra i denti “cosa vogliono ‘sti ragazzini, le rivoluzioni e le proteste di piazza le abbiamo fatte noi 50 anni fa”. Hanno dimenticato cosa cantava Francesco Guccini, che gli eroi son tutti giovani e belli.

E quindi come si fa a non voler bene a questi ragazzi emiliani che stanno organizzando piazze belle e colorate? Impossibile, sono un segno di vitalità, di reazione a un racconto mediatico e a una percezione da rovesciare.

Quindi ben vengano 10 100 1000 piazze di Sardine in Emilia e in tutto il Paese se servono a svegliare l’Italia dal torpore. Se le piazze si riempiono spontaneamente questo avviene perché c’è voglia di aggregazione e di sentirsi parte di qualcosa. Identità e appartenenza, sono le parole chiave di questo tempo. E sentirsi parte di un banco di sardine fa sentire meno soli e meno spaventati di fronte all’avanzata di Salvini.

Tutto bene? Ovviamente no. I movimenti non nascono per difendere lo status quo, l’esistente, in questo caso l’ottima amministrazione dell’Emilia Romagna. I movimenti popolari nascono per cambiare le cose, per rovesciare tutto quello che non va, per allargare i diritti, per fare la rivoluzione (anche soltanto culturale). Perciò non ho consigli da dare, ma ho un augurio e una speranza, che le Sardine sappiano trovare la loro rivoluzione, perché le cose da cambiare radicalmente in questo Paese sono tantissime. Ne abbiamo bisogno tutti quanti. Chi scende in piazza e chi sta a guardare.


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