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Caos Ilva. Perché ho dubbi sull’intervento di Invitalia nell’acciaieria di Taranto

Di Stanislao Chimenti

Gli organi di stampa riportano la possibilità che, al fine di superare la crisi dell’Ilva, il governo valuti l’ipotesi di un intervento di Invitalia, l’Agenzia per l’attrazione degli investimenti integralmente controllata dal Mef. In particolare, sarebbe allo studio l’ingresso di Invitalia nel capitale sociale di Ilva, secondo un modello, si dice, già sperimentato con successo nel caso della crisi di Industria Italiana Autobus, società che aveva rilevato l’ex Iribus da Finmeccanica. La notizia, se confermata, potrebbe, in astratto, essere valutata positivamente sul piano degli indirizzi di politica economica e industriale del Paese, alla luce dell’importanza strategica dell’Ilva, della gravità della crisi e dell’urgenza di approntare soluzioni efficaci. Peraltro, sono necessarie alcune considerazioni.

In primo luogo, a ben vedere, l’intervento di Invitalia rappresenterebbe un caso senza precedenti specifici. Difatti, nel caso menzionato di Industria Italiana Autobus, la società versava in uno stato di tensione finanziaria, forse di crisi, ma certamente non di insolvenza, come invece l’Ilva. Insomma, un conto è impiegare denari pubblici per sottoscrivere quote di capitale sociale di una società “in difficoltà”, altro conto per sottoscrivere quote di capitale di una società in stato di insolvenza. Di più.
Come noto, Ilva è già assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandissime imprese in stato di insolvenza (la c.d. Legge Marzano). Il salvataggio, dunque, deve attuarsi nel rispetto delle procedure previste dalla legge. Per tali ragioni, anche il possibile intervento di Invitalia deve necessariamente inquadrarsi all’interno della procedura di amministrazione straordinaria ed essere coerente con il suo svolgimento.

Come noto, Mittal è stata individuata quale possibile acquirente del solo complesso aziendale in funzionamento (la c.d. polpa) all’esito di una procedura di selezione a evidenza pubblica e di natura competitiva. In particolare, ai sensi della Legge Marzano, il possibile acquirente deve essere selezionato sulla base non tanto e non solo del prezzo offerto per l’acquisto dell’azienda o dei rami d’azienda, quanto piuttosto sulla base di un piano industriale sottoposto all’approvazione del Mise e posto a fondamento dell’ipotesi di rilancio e recupero dell’equilibrio economico – finanziario dell’impresa insolvente. Ciò, tra l’altro, con conseguente salvezza e mantenimento, nei limiti del piano approvato dal Mise, dei livelli occupazionali e intuibili vantaggi per l’intero indotto. In attesa che venga reso noto quante risorse verrebbero messe a disposizione da Invitalia e con quali tempistiche e modalità, sembra comunque di comprendere che l’intervento avverrebbe a supporto dell’acquirente del complesso aziendale, e non già della c.d. “bad company”.

Deve allora essere chiaro che tale intervento dovrà necessariamente trovare la propria giustificazione all’interno di un piano industriale inevitabilmente nuovo, la cui realizzabilità e sostenibilità dovrà essere sottoposta a un nuovo vaglio da parte degli organi competenti. A ben guardare, potrebbe anche rendersi necessario lo svolgimento di una nuova procedura di selezione a evidenza pubblica, giacché l’ingresso di Invitalia nel capitale sociale determina una modifica sostanziale alla compagine sociale dell’acquirente, per di più per effetto della mano pubblica.

Si porrebbero allora almeno due ordini di problemi:

1) i soggetti che hanno partecipato alla precedente gara potrebbero lamentare di essere stati discriminati; inoltre, molti operatori potrebbero sostenere che avrebbero partecipato alla gara e avrebbero formulato un’offerta vincolante se avessero potuto beneficiare dell’intervento pubblico di Invitalia.

2) l’intervento di Invitalia potrebbe essere considerato come alterazione della concorrenza e violazione dei principi e delle vigenti norme comunitarie. Si pongono insomma questioni di rispetto sia della parità di trattamento di tutti gli operatori economici, con profili di rilievo anche comunitario che dovranno essere attentamente vagliati, sia di tutela degli interessi della procedura (interesse dei creditori, dei lavoratori, dei c.d. stakeholder, ecc.). In verità, l’esperienza italiana delle procedure di amministrazione straordinaria di grandissime imprese insolventi ha evidenziato numerosi profili di criticità che impongono talune considerazioni.

Nella moderna economia, quando un’impresa è stata “espulsa” dal mercato ed è divenuta insolvente, le ragioni possono essere molte e molto complesse, ma, al fondo, esse attengono a elementi di natura industriale: la sopravvenuta impossibilità di quell’impresa di soddisfare efficacemente e in modo efficiente i bisogni del settore in cui essa opera. In altri e riassuntivi termini, l’impossibilità di “stare sul mercato”. Quando ciò accade, l’impresa deve necessariamente trasformarsi, in modo più o meno profondo, per riadattarsi nuovamente e recuperare il proprio equilibrio. Tale obiettivo non può nella sua totalità essere raggiunto dalle procedure di salvataggio giacché i commissari straordinari devono operare secondo logiche e finalità imposte dalla legge, ben diverse da quelle di un imprenditore in bonis.
Del resto le esperienze internazionali mostrano come la mano pubblica operi in questi frangenti al fine di fornire un vero e proprio supporto di natura “sociale” soltanto quando le esternalità negative siano di grande impatto. Si pensi al caso della crisi di Thomas Cook: in quel caso il governo ha fornito supporto per il rimpatrio di quanti erano rimasti forzatamente all’estero a causa della crisi dell’impresa, ma, fino a oggi, non ha destinato altri mezzi dei contribuenti al salvataggio di un’impresa privata in stato di insolvenza.

Per tali ragioni può legittimamente dubitarsi che l’intervento di Invitalia – ove, si ripete, la notizia fosse confermata – rappresenti di per sé la soluzione del problema. Invero, l’ulteriore impiego di risorse pubbliche deve necessariamente accompagnarsi ad un’attenta e preventiva analisi della redditività dell’operazione di investimento e ad un puntuale controllo dell’andamento dell’impresa. Esso, dunque, dovrebbe inserirsi nel quadro di un nuovo piano industriale che giustifichi l’utilizzo delle risorse pubbliche e ne tratteggi la funzionalità a una nuova strategia di rilancio, ancor prima che di “salvataggio”. Senza tale analisi preliminare, il rischio è che vengano utilizzate ulteriori risorse pubbliche in modo inefficiente e improduttivo, con ciò aggravando il problema piuttosto che risolverlo.

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