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Dall’Urss a Putin. La parabola russa dalla caduta del Muro di Berlino

Di Antonello Folco Biagini

A trent’anni di distanza dalla caduta del Muro di Berlino è senza dubbio possibile affermare che questo avvenimento racchiudeva già in sé il successivo collasso dell’Urss. È necessario, però, anche sottolineare come la crisi del sistema sovietico fosse iniziata ben prima del crollo del Muro.

A partire dagli accordi di Helsinki del 1975, l’Urss aveva già per certi versi derogato alla sua sovranità, accettando il cosiddetto paniere dei diritti umani. La conseguenza fu inevitabilmente quella di vedersi applicate delle sanzioni a partire dall’amministrazione Carter, soprattutto nelle forniture essenziali, come quelle del grano e dei prodotti industriali. Se a questo si aggiungono alcune scelte in contraddizione con la tradizionale politica estera sovietica basata sull’estensione del controllo nei territori contigui, come le sconfitte in Afghanistan, allora si comprende la lunga crisi.

Crisi che si concretizzò con la stagnazione del periodo di Breznev e il tentativo di Gorbaciov di rinnovare la politica e la società sovietica con una serie di riforme che intaccarono però la struttura istituzionale dell’Urss. Il crollo del Muro di Berlino fu solo la prima conseguenza del disimpegno sovietico per il quale optò Michail Gorbaciov che, rompendo con il passato, comunicò apertamente la propria indisponibilità a difendere i regimi comunisti degli Stati satellite. A questo evento, com’è noto, seguì un effetto domino che si abbatté sul resto dell’Europa orientale, insieme all’accettazione di Mosca della riunificazione tedesca.

È più giusto affermare, quindi, che è la crisi di legittimità dell’Urss e il tentativo di salvarla promosso dall’élite riformista salita al potere verso la metà degli anni 80 a racchiudere in sé i presupposti per il crollo del Muro. Per quanto riguarda la Russia odierna è però necessario ricordare che l’eredità dell’Urss è molto influente, a partire dal fatto che la classe dirigente sopra i quarant’anni, Putin in testa, si è formata in epoca sovietica, e dunque ne riporta la forma mentis.

L’Urss è stata una grande potenza mondiale e ha rappresentato un punto di riferimento non solo per i comunisti occidentali, ma anche per i movimenti di liberazione anticoloniale. È evidente che una tale eredità non scompare nell’arco di una generazione, soprattutto nella dimensione dell’immaginario politico, che contribuisce alla formulazione della strategia internazionale di un Paese che non ha un grande peso economico, ma una crescente influenza geopolitica.

Non necessariamente allo status di grande potenza devono del resto corrispondere prestazioni particolarmente elevate in tutte le dimensioni del potere. La Repubblica Popolare Cinese, ad esempio, è una superpotenza economica, ma, almeno per il momento, non ha dimostrato di saper difendere i suoi interessi con lo strumento militare al di fuori del suo quadrante geopolitico. Ciascun Paese fa, quindi, politica estera secondo la propria cultura politica, la propria visione del mondo e delle relazioni internazionali.

La modalità russa è certamente diversa da quella cinese, vi è un diverso ruolo della forza militare e anche le eredità del passato esercitano un peso rilevante, come dimostra il ruolo di Mosca in Siria (eredità sovietica) e i suoi rapporti con i cristiani d’oriente (eredità zarista). Questo rinnovato protagonismo geopolitico è ascritto da molti all’azione e alle politiche di Vladimir Putin e alla scarsa influenza economica del Paese, ma non è mia opinione che questi due fattori siano le cause fondamentali del fenomeno.

L’economia russa ha vissuto dei momenti molto differenti dopo lo scioglimento dell’Urss. Alla profonda crisi legata agli squilibri della transizione da un’economia pianificata a una di mercato, dal 1991 al 2001, è seguito un periodo di boom, e successivamente una contrazione dell’economia, legata alla caduta dei prezzi dell’energia e alle sanzioni occidentali. Non credo, quindi, che le non eccellenti prestazioni economiche siano controbilanciate dal protagonismo in politica estera, sebbene questo possa funzionare in alcuni momenti (soprattutto in prossimità di elezioni) come catalizzatore di consenso.

Putin si è costruito un’immagine globale di nazionalista del XXI secolo, antagonista di un ordine liberale sempre più in crisi, ma non si può ridurre il rilancio internazionale della Russia alla sua figura. Il Paese ha infatti già in sé le caratteristiche-chiave per essere una grande potenza (in termini di popolazione, territorio, potenza militare, risorse naturali) e un’influente tradizione in tal senso, tanto forte da essere avvertita come un vincolo dal Cremlino anche negli anni di maggiore fragilità, come quelli della presidenza Eltsin.

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