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Gianni De Michelis, Venezia e il fronte del no. Il ricordo di Clini

Voglio parlare di Gianni e di Venezia, perché la “storia dei vincitori” che è stata raccontata dal 1992 in poi è spesso una storia di omissioni che non consente di capire che cosa abbiamo perso e che cosa stiamo perdendo a Venezia. Abbiamo sentito ripetere in questi giorni che “Venezia muore, stuprata dal turismo di massa, dal canale dei petroli e dal Mose”.

Troppo facile e per molti aspetti una verità al contrario: Venezia di oggi è anche il risultato di almeno 40 anni di No. E le idee di Gianni De Michelis su Venezia sono state il principale bersaglio del No. Voglio ricordare un passaggio chiave della “decadenza” di Venezia : Expo 2000. Expo era stata proposta da Gianni come l’esposizione della transizione verso la civiltà postindustriale, un ponte tra il 900 industriale che aveva il suo simbolo in Porto Marghera e il futuro della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale che si presentavano all’orizzonte con un potenziale “distruttivo” che Gianni aveva visto con lucidità.

L’esperienza e la visione internazionale avevano suggerito a Gianni l’urgenza di attrezzare l’Italia, dal punto di vista culturale, industriale e politico verso il grande cambiamento che oggi chiamiamo “Industria 4.0”. Gianni, il professore di chimica che conosceva il valore e i limiti degli insediamenti industriali di Porto Marghera, ma che aveva anche ben presente la storia delle trasformazioni gestite per secoli dalla repubblica Veneta nell’economia globale del tempo, aveva visto in Venezia il luogo ideale per far partire il viaggio verso l’innovazione. Gianni, il ministro delle Partecipazioni statali e del Lavoro prima e degli Esteri poi, sapeva anche che il futuro dell’Italia passava attraverso un salto di qualità delle produzioni e dell’economia, nel momento critico dello sviluppo e dell’innovazione che già stavano creando le prime trasformazioni radicali nelle produzioni industriali e nell’economia di Usa e Giappone.

Expo era l’occasione per agganciare “just in time” il momento del cambiamento. E nello stesso tempo Expo 2000 era anche il progetto concreto di cambiamento degli usi del territorio di Venezia e del Veneto, guidato da una visione di recupero e riuso che avrebbe modificato il panorama della terraferma veneziana oggi dominato dagli scheletri delle ex fabbriche e dai capannoni vuoti. Il Centro di Expo sarebbe stato il Magnete di Renzo Piano, uno spazio di 200 mila metri quadri a bordo della laguna e inserito in un parco lagunare, spazio di esposizione e sperimentazione dell’innovazione e punto di equilibrio tra il futuro e l’ambiente naturale della laguna, e varco di accesso “controllato” a Venezia.

Dal Magnete si sarebbero “irradiate” le strutture e le manifestazioni di Expo da Marghera e lungo l’asse Verona Trieste. Marghera, appunto, che senza il Magnete di Expo, è un deserto industriale ancora in attesa di una svolta. Mentre Expo avrebbe contaminato Venezia sia con una imponente attività di manutenzione e riqualificazione degli antichi spazi industriali della Repubblica Veneziana dall’Arsenale alla Giudecca, sia con l’accelerazione del Piano generale degli interventi per la salvaguardia di Venezia, approvato nel 1989, e che comprendeva anche il Mose.

Non è difficile immaginare che Expo sarebbe stato un motore formidabile per il grande piano approvato dopo oltre dieci anni di studi per mettere in sicurezza Venezia e proteggere l’ambiente. La progettazione e la preparazione di Expo era stata accompagnata per oltre due anni da un confronto aperto e pubblico, che aveva portato a modifiche finalizzate soprattutto a minimizzare gli impatti ambientali. Ma contro il progetto si organizzò un formidabile fronte del No, poco interessato al merito delle proposte ma fortemente orientato a colpire il simbolo dell’innovazione e della trasformazione identificato in De Michelis, come ha ricordato Giuseppe De Rita. Una delle critiche principali era concentrata sull’impatto che avrebbero avuto su Venezia i previsti 10-15 milioni di visitatori.

Oggi, come ha ricordato recentemente Franco Miracco, “quella che è diventata una non città subisce l’attraversamento irresponsabile di visitatori che superano di gran lunga i trenta milioni all’anno”. Mentre Expo avrebbe sperimentato e realizzato 20 anni fa l’accesso controllato alla città . Il fronte del No, fortemente sostenuto da interessi di “bottega elettorale”, ebbe la meglio e nel giugno 1990, a pochi giorni dalla decisione del Bureau Internazionale delle Esposizioni Universali, il governo italiano ritirò la candidatura di Venezia. Da allora il fronte del No ha accompagnato e condizionato le scelte su Venezia.

Oggi si vedono i risultati del non fare, o del fare poco. Certo non possiamo dimenticare il concerto dei Pink Floyd del luglio 1989, che fu utilizzato come prova generale del fallimento di Expo. Eppure oggi sarebbe utile ricordare quanto affermato dal questore di allora, che disse di non aver mai visto un’assemblea di giovani così numerosa e civile. Sarebbe anche utile chiedersi come mai Piazza San Marco fu ripulita due giorni più tardi e non immediatamente dopo la conclusione del concerto come avviene sempre dopo eventi di questo tipo.

Fran Tomasi, l’organizzatore del concerto intervistato da Francesco Prisco sul Sole 24 Ore del 15 luglio 2019, ha detto che “evidentemente c’era la volontà politica di spedire al mondo intero la cartolina di piazza San Marco deturpata dai rifiuti”. E neppure possiamo dimenticare lo scandalo che travolse il Consorzio Venezia Nuova nel 2014, che tuttavia non può essere assunto come prova dell’inutilità del Mose. Gianni De Michelis non c’è più, ormai da quando la malattia lo ha allontanato da tutti noi. Proviamo a ricostruire con onestà intellettuale e rispetto della verità la storia recente di Venezia, anche attraverso la vicenda culturale e politica di Gianni.

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