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Da Hong Kong al Libano. Il 2019 delle proteste globali e le previsioni 2020

L’anno 2019 è stato segnato dalle proteste in tutto il mondo. Algeria, Bolivia, Colombia, Cile, Spagna, Francia, India, Libano, Hong Kong e Sudan… Tutti questi Paesi, in apparenza diversi, condividono un profondo scontento nei confronti delle loro classi dirigenti; hanno in comune un costo della vita alto e quotidianità difficili, nonché la delusione per le promesse mancate di un futuro migliore. La corruzione e l’assenza di comunicazione con l’élite politica ed economica peggiorano la situazione.

Le proteste globali del 2019 hanno come caratteristica comune la mancanza di una leadership facilmente riconoscibile, e fuggono dalle etichette tradizionali di manifestazioni della destra o la sinistra politica. Le rivolte di quest’anno che sta per finire sono nate e si sono sviluppate attraverso e grazie ai social network, principali strumenti di diffusione dell’informazione per l’organizzazione. Grazie a questa rete sono “esplose” in maniera veloce. Sono proteste che hanno escluso partiti e politici, ma anche in molti casi vuote di messaggio e proposte.

LE SCINTILLE DEL 2019

La scintilla però è stata diversa in ogni Paese. In Cile, per esempio, l’aumento del 3% del costo del trasporto pubblico ha scoperchiato il malessere collettivo per la disuguaglianza imperante nel Paese sudamericano. In Bolivia, il tentativo di Evo Morales di restare inchiodato nella presidenza (gli osservatori europei, infatti, hanno confermato l’imbroglio elettorale) mentre in Colombia lo sciopero generale è stata la risposta popolare ad una inadeguata riforma fiscale e tributaria, secondo i cittadini. A Hong Kong tutto è cominciato con la proposta di legge per l’estradizione; in Libano l’idea di tassare il servizio di messaggistica WhatsApp e in India nuove regole per la cittadinanza e l’immigrazione.

Le manifestazioni di quest’anno hanno confermato che sono i cittadini a dare e togliere il potere, difatti sono finite le leadership di Evo Morales in Bolivia; Abdelaziz Bouteflika in Algeria; Omar al Bashir in Sudan; Saad al Hariri in Libano e Adel Abdul Mahdi in Iraq. In tutti questi casi c’è ancora molta incertezza e si prevedono nuovi sviluppi (e proteste) nel 2020. Inoltre, il 2019 è stato anche l’anno delle proteste transnazionali: il Fridays for Future è stato accolto in tutti i continenti, con scioperi e concentrazioni a favore dell’ambiente e per esigere azioni contro il cambiamento climatico.

José Ángel Hernández, dottore in Storia Contemporanea della Sergio Arboleda University, ha spiegato in un’intervista a France 24 che “c’è uno scontento generalizzato a livello mondiale contro il sistema. […] La crescita economica nel mondo non si manifesta in quanto al benessere uniforme della popolazione, per cui i cittadini che si sentono esclusi dal sistema politico e dal progresso economico scendono in piazza per rivendicare il loro spazio”. Secondo lui, questo è uno degli aspetti comuni di tutte le proteste nel mondo. Non importa se di destra o di sinistra, il divario tra la classe dirigente e i cittadini è immenso.

PREVISIONI PER L’ANNO PROSSIMO

Con molta probabilità il 2020 non sarà più calmo dell’anno che sta per concludersi. In Cile e in Colombia le proteste continuano. Secondo Hernández, nel 2020 si replicheranno e potrebbero intensificarsi perché non si stanno presentando soluzioni ai problemi che restano. Appuntamenti come le elezioni legislative in Venezuela, il referendum in Cile e il voto anticipato in Bolivia saranno momenti di alta tensione.

Il Messico è anche una bomba a tempo: il presidente Andrés Manuel López Obrador aveva promesso una quarta trasformazione in materia economica e di sicurezza, ma non ci sono stati cambiamenti.

“È molto probabile che nel mondo ci saranno nuove proteste nel 2020 – prevede María Victoria Murillo dell’Università di Columbia -. Tuttavia, non ci sorprenderanno come quelle del 2019. La leadership è più attenta alle richieste popolari, anche se per ora ci sono poche risposte. Dobbiamo sperare che siano più veloci e non rispondano con repressione o negligenza”.

IL REBUS VENEZUELA

Nel quadro globale, resta il punto interrogativo sul Venezuela. Con la più alta inflazione del mondo, serie violazioni dei diritti umani (denunciati dalle Nazioni Unite) e un’ondata di migrazione di circa cinque milioni di persone che fuggono dalla dittatura di Nicolás Maduro, quest’anno la situazione è rimasta invariata.

La prima sfida del 2020 per il presidente ad interim, Juan Guaidó, riconosciuto dagli Stati Uniti e altri 50 Paesi, sarà essere rieletto come presidente del Parlamento il 5 gennaio. Il regime di Maduro sta cercando tutti i mezzi per bloccare la nomina, con persecuzioni e intimidazioni. Le forze armate venezuelane, ancora fedeli a Maduro, sono l’elemento chiave.

(Foto: Alessandro Balduzzi da Beirut)

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