Dopo decenni di lavoro delle Nazioni Unite, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata nel 2006, ha ulteriormente promosso i diritti e il benessere delle persone con disabilità, ribadendo il principio di uguaglianza e la necessità di garantire loro la piena ed effettiva partecipazione alla sfera politica, sociale, economica e culturale della società.
All’ Articolo 24 Istruzione, leggiamo “Gli Stati Parti riconoscono il diritto delle persone con disabilità all’istruzione. Allo scopo di realizzare questo diritto senza discriminazioni e su una base di eguaglianza di opportunità, gli Stati Parti faranno in modo che il sistema educativo preveda la loro integrazione scolastica a tutti i livelli e offra, nel corso dell’intera vita, possibilità di istruzione finalizzate …”
L’Italia Stato membro dell’ONU fa il bilancio e i numeri emersi sono impietosi.
“Secondo l’Istat, gli studenti con disabilità sono 270 mila: il 3,1% degli iscritti nelle scuole italiane. Ad accompagnarli nel percorso formativo c’è l’insegnante di sostegno, una figura necessaria a garantire l’inclusione scolastica. Ma i docenti di ruolo sono solo 100 mila e non bastano a coprire le esigenze. Così, a settembre le classi sono scoperte e le famiglie sono obbligate a rivolgersi ai giudici: è il Tar a raddrizzare la situazione, costringendo il Ministero a provvedere. Il Miur con una deroga nomina d’urgenza oltre 60 mila supplenti. Ma il diritto all’istruzione viene così garantito? E questo sistema emergenziale quanto pesa sulle casse dello Stato?” (qui tutti i dati)
Walter Miceli, legale del sindacato Anief, ha svelato agli italiani una realtà molto diffusa negli istituti scolastici italiani: “I genitori portano i propri figli disabili a scuola e non trovano l’insegnante di sostegno, a questo punto si rivolgono al Tar o al giudice ordinario, spesso addirittura invitati dallo stesso dirigente scolastico che dice loro per avere l’insegnante di sostegno devi fare ricorso”. Le famiglie che si rivolgono alla magistratura vincono nel cento per cento dei casi e il Miur è costretto a nominare i precari.
Il legislatore riconosce il diritto, lo Stato deve garantirlo altrimenti a che serve riconoscere un diritto? Qui scende il campo il cittadino responsabile che denuncia, combatte e smaschera l’ingiustizia. Non c’è più spazio per quella confusione che legittima l’inerzia politica e alimenta la discriminazione. Il re è nudo, il cittadino consapevole chiede conto allo Stato, alla politica, al Ministro:
Per quale ragione si assiste inerti ad un sistema scolastico italiano (l’unica grave eccezione in Europa accanto alla Grecia) classista, regionalista, discriminatorio, di scarsa qualità perché iniquo?
Lo Stato Italiano deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona (Art.3 Cost), oggi – al contrario – li pone e li alimenta. Lo Stato Italiano è uno Stato di diritto nella misura in cui garantisce i diritti che riconosce.
Si impedisce l’integrazione del disabile, si condannano i docenti ad un precariato infausto ledendo la professionalità, si privilegia il ricco permettendo solo a questo di scegliere e si condanna il povero ad accontentarsi.
Secondo il Ministero non è un questione di soldi… Allora di cosa si tratta?
E’ stato ampiamente dimostrato che la soluzione di diritto, di economia, c’è. A ben vedere non ci sono ostacoli politici (considerata la convergenza da destra a sinistra … a turno al governo) e la soluzione fa un gran bene anche all’economia (con una migliore gestione delle tasse dei cittadini).
Si garantisca l’autonomia alla scuola pubblica statale e la libertà di scegliere senza costi aggiuntivi la scuola pubblica paritaria, consentendo ai genitori l’esercizio della loro responsabilità educativa in modo libero, in un sistema pluralista e di qualità, attraverso i costi standard di sostenibilità.
Purtroppo, oggi, nel nome di una finta equità, si perpetra un sistema che porta inevitabilmente la scuola italiana ad essere classista: chi può permettersi di pagare manda i propri figli in una scuola migliore.
Sulla scuola continua a consumarsi uno scontro fra l’ideologia e la razionalità di chi sa che per venire a patti con la realtà bisogna fare i cosiddetti “conti della serva”.
A sfigurare il dibattito è ancora spesso il conflitto generato da una visione che identifica la scuola paritaria con la scuola privata ed elitaria, anziché concepire il servizio pubblico come quello che garantisce un’effettiva parità di accesso a tutti i cittadini secondo eguali diritti.
In Italia, il sistema scolastico è egualitario sulla carta, ma nei fatti non rimedia le differenze di partenza tra gli studenti legate al contesto familiare e sociale, anzi le rinforza. Col risultato paradossale che, alla fine, abbiamo effettivamente un sistema scolastico elitario.
Un interessante contributo alla riflessione giunge dai genitori dell’Agesc: «Sarebbe utile una riflessione, da parte di tutte le Istituzioni, sulla via suggerita dall’Ocse di finanziamenti mirati alle famiglie più povere, o una’attenta valutazione di proposte, come quella contenuta nel documento della Cei relativa alla determinazione di un «costo standard di sostenibilità per allievo». «Intendiamo – sottolinea il presidente dell’Agesc Frare – tornare a chiedere per i genitori la piena libertà di scelta in campo educativo, che la legge 62/2000 non è riuscita ancora a risolvere» (clicca qui per leggere).