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Ecco come abbiamo vinto la battaglia sul referendum. Parola di Benedetto

Di Giuseppe Benedetto

Era il giorno 8 del mese di ottobre, ovviamente di quest’anno. La Fondazione Luigi Einaudi teneva una conferenza stampa alla Camera dei Deputati per presentare l’iniziativa del successivo giorno 12 a Milano, che avevano chiamato #stanchidipagare: il titolo non ha bisogno di ulteriori commenti.

Quel giorno si creò qualche imbarazzo con la mia antica amica Deborah Bergamini parlamentare di Forza Italia. Era con lei che dovevo fare la conferenza stampa, ma da lì a pochi minuti si sarebbe votata la legge costituzionale sul cosiddetto taglio dei parlamentari. Deborah si sentiva vincolata a una logica di partito e nello stesso tempo condivideva le nostre dure prese di posizione contro quella legge.

A quel punto la soluzione: Deborah un minuto dopo il voto, con coraggio, è scesa con me in sala stampa e abbiamo annunciato che avremmo immediatamente avviato alla Camera e al Senato la raccolta di firme per raggiungere il quinto dei parlamentari, di una delle due Camere, necessario a celebrare il referendum.

Dall’inizio il messaggio della Fondazione Einaudi è stato assolutamente chiaro: si tratta di una operazione culturale, prima che politica, per la quale ritenevamo e riteniamo che sia necessario chiamare il cittadino elettore a decidere su una riforma di tale portata e in tal senso ci siamo rivolti a tutto il Parlamento, a coloro che avevano votato a favore e ai pochi che avevano votato contro, chiedendo loro di consentire agli italiani di esprimere la loro opinione su un così rilevante argomento.

Intendo qui ringraziare Deborah e, con lei, tutti i parlamentari che hanno contribuito alla raggiungimento di questo obiettivo, ad iniziare dai senatori Cangini, Nannicini e Pagano primi firmatari e promotori della raccolta di firme al Senato. Hanno colto subito lo spirito della nostra proposta. Ora ci siamo. L’obiettivo è a portata di mano.

Smettiamola con le dietrologie, con il giochino se il referendum accelera o rallenta la fine della legislatura. Concordo con il presidente del Consiglio quando afferma che il referendum è assolutamente neutro. I partiti continuino i loro giochi, noi intendiamo occuparci di altro, lontani anni luce dalla logica della politique politicienne.

Allora vediamo brevemente cosa ci ha mosso.

Innanzi tutto una sorta di ribellione verso il populismo imperante. Abbiamo inteso mandare un segnale importante ad un’Italia che non fa “di tutta l’erba un fascio” (fascio con la “f” minuscola). Riteniamo che bisogna uscire dalla logica per cui le proposte politiche si fanno a “chi la spara più grossa”. Non c’è uomo politico che prima di dirci cosa vuole fare, quale opera vuole realizzare, ci indichi le coperture di spesa per quell’opera. Questi sono i problemi seri della nostra classe dirigente, ad iniziare da quella politica. Non certo la rinuncia ad un caffè all’anno per ogni italiano, tanto risparmieremmo con il taglio dei parlamentari. Taglio che sicuramente è taglio di democrazia. Perché non v’è dubbio che diminuire il numero dei rappresentanti vuol dire allontanare l’eletto dall’elettore, esattamente l’opposto di quanto ad esempio suggeriva Luigi Einaudi.

E, per continuare, chi e con quale logica ha stabilito il taglio necessario? Perché ne debbono restare 600? Perché non 700 o 400? E perché non uno solo? Sai che bel taglio sarebbe in termini di costi! Peccato che non si chiamerebbe più democrazia.

In verità, come sostenuto praticamente da tutti i costituzionalisti, mettere mano alla Costituzione con riforme spot è pericolosissimo. Si vuole diminuire il numero dei Parlamentari? Bene si metta mano seriamente all’architettura costituzionale e si faccia una vera riforma complessiva. Tesa a migliorare la produzione legislativa. Ma questo non c’entra nulla con il taglio lineare votato dall’attuale Parlamento.

Potrei continuare a lungo. Ma preferisco chiudere con il grido lanciato da un grande uomo politico, lontano ideologicamente da chi scrive, ma di fronte alla cui storia personale dovremmo tutti inchinarci: Emanuele Macaluso. Quando ci ammonisce a stare attenti a giocare con una materia così delicata e conclude con la bellissima espressione “Parlamento è libertà”, in realtà lancia un monito che è anche una speranza.

La speranza che la democrazia rappresentativa, quella liberale, quella che conosciamo in tutta Europa e nel resto del mondo libero, non venga soppressa e sostituita dalla democrazia diretta. Quella per cui uno vale uno e il cittadino non vale nulla.

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