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La via sinodale per il ritorno dei cattolici alla politica. Delle Foglie commenta Enzo Bianchi

Enzo Bianchi, monaco laico e storico fondatore della Comunità di Bose di cui è stato il primo priore, ha rotto gli indugi sul fronte del rapporto fra cattolici e politica. Lo ha fatto a modo suo dalle colonne di Vita Pastorale, storico mensile dei Paolini e strumento indispensabile per sacerdoti e laici impegnati nel servizio alla Chiesa.

Su Vita Pastorale Bianchi tiene una rubrica dal titolo “Dove va la Chiesa?” e nel numero di gennaio 2020 affronta il tema di “un serio ritorno dei cattolici alla politica”. E coerentemente si schiera, come già hanno fatto altri prima di lui (innanzitutto Padre Antonio Spadaro direttore de La Civiltà Cattolica), per una soluzione sinodale. Non proprio un Sinodo che ha già incontrato un fermo ostacolo nella Chiesa italiana, ma almeno un cammino sinodale.

Dopo una lunga premessa nella quale con garbo ma con fermezza liquida l’esperienza di “Politica Insieme” di giungere alla fondazione di un nuovo partito di ispirazione cristiana come “un’ipotesi, una scommessa verso la quale va il mio rispetto, anche se vi ravviso alcune ingenuità nella concreta possibilità di realizzazione”, il fondatore della Comunità di Bose fa la sua proposta in chiave sinodale.

Ma con una premessa che dichiara “finita la stagione della cristianità” (evidente l’eco del discorso di papa Francesco alla curia romana). “Finita la stagione del partito cattolico ed esauritosi il ‘progetto culturale’ – precisa – occorre iniziare un nuovo percorso che può solo realizzarsi mediante una prassi ecclesiale vissuta a livello di comunità cristiane e di chiese locali”.

In sostanza la sua proposta è quella di dare vita nelle chiese locali, diocesane o regionali, a “uno spazio al quale tutti i cattolici possano essere convocati e quindi partecipare”. E quindi, con una nota di biasimo per le prassi del passato, aggiunge: “Non un’assemblea dei soliti scelti o eletti in base all’appartenenza ad associazioni o istituti pastorali, ma un’assemblea realmente aperta a tutti, che sappia convocare uomini e donne muniti solo della vita di fede, della comunione ecclesiale, della consapevole collocazione nella compagnia degli uomini”. L’obiettivo sarebbe quello di far “emergere convergenze pre-politiche, pre-economiche, pre-giuridiche che confermano l’unità della fede, ma lasciano la libertà della loro realizzazione plurale insieme ad altri soggetti politici nella società”.

In sostanza, da questo spazio pubblico sinodale in cui si confronterebbero pastori e popolo di Dio, dovrebbe nascere quella “polifonia ispirata a una stessa fede e costruita con molteplici suoni e strumenti”, come dice papa Francesco.

Questa proposta di Enzo Bianchi certamente arricchisce il dibattito sulle strade da intraprendere per un ritorno dei cattolici alla politica, ma porta con sé alcune criticità forse insormontabili. Intanto richiederebbe che la Chiesa italiana tutta decidesse di applicare la via sinodale alla questione della presenza dei cattolici in politica. Cioè i pastori dovrebbero additare questa soluzione alle proprie chiese locali. È del tutto evidente la contraddizione: ancora una volta un’iniziativa pioverebbe dall’alto. Questa – lo ricordiamo – è una delle principali critiche rivolte da Bianchi alla Chiesa italiana. Anche se lui la maschera attentamente parlando di “soggetti ecclesiastici che, negli ultimi anni del secolo scorso e nei primi anni del nostro, hanno avocato solo a sé il discernimento sulla situazione sociale, culturale e politica italiana, fino a intervenire direttamente in materie la cui competenza sarebbe appartenuta di diritto ai laici stessi”. Non ce ne voglia Enzo Bianchi, ma avremmo preferito che avesse il coraggio di fare nomi e cognomi. Almeno offrendo la possibilità di apertamente dissentire e agli interessati di difendersi.

Ma ora rileviamo che il fondatore di Bose invoca comunque una soluzione dall’alto (non un Sinodo, ma un cammino sinodale impossibile senza l’iniziativa dei vescovi) , pur indicando una prassi dal basso. Che però i cattolici italiani di base non chiedono apertamente, il che dovrebbe suggerire maggiore prudenza a tutti, Bianchi compreso. La verità è che il silenzio assordante dei laici cattolici è una realtà con la quale ancora non si riesce a fare i conti. Un silenzio che la dice lunga sulla penetrazione dell’individualismo e del relativismo nel cuore di quello che resta della cristianità occidentale. Questo sì un tema meritevole di un Sinodo per l’Italia. Non riusciamo infatti a capire perché un cammino sinodale debba dare risposta alla presenza politica dei cattolici e non alla rarefazione della fede in Italia. Forse è questa la vera emergenza.


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