C’era una volta la “questione antropologica” (vita, famiglia, libertà di educazione) che agitava il mondo cattolico. Il mantra della lunga stagione di Wojtyla e Ratzinger è stato superato dal pontificato di Francesco con la sua dottrina della “Chiesa povera per i poveri”. Con i corollari delle periferie esistenziali, dell’ospedale da campo, del pastore con l’odore delle pecore, dell’accoglienza dei migranti, della prevalenza della pastorale sulla dottrina.
Ma, come è del tutto evidente, si possono mandare in soffitta le locuzioni anche più fortunate del discorso pubblico, come è il caso della “questione antropologica”, ma non si possono eludere le domande sul destino dell’umanità. Infatti, la post modernità pone grandi interrogativi antropologici, ai quali si tarda a dare risposta e rispetto ai quali anche il mondo cattolico arranca. Grandi questioni vitali che segneranno il nostro futuro e che, nella loro essenza, sono riconducibili direttamente alla nostra antropologia: la denatalità in Occidente, la rovina dell’ambiente naturale, l’irruzione dell’intelligenza artificiale, lo strapotere dei Big Data. Quattro nodi del vivere umano dai quali dipende il futuro di tutti. Eppure, sembriamo ancora titubanti e incerti sul da fare.
La denatalità, per usare una famosa espressione di Papa Ratzinger, sembra confermare quell’odio verso se stessi degli europei che ne fa le prime vittime di una post modernità deprivata di valori e di idee guida. Ritrovatisi nudi dopo le sbornie ideologiche e le corse disperate all’individualismo, sembriamo aver perso la ricchezza di senso che è propria della generatività. Un attributo specifico della condizione umana al quale in troppi stanno rinunciando. I più danno una spiegazione di natura economica e sociale, ma la nostra responsabilità è innanzitutto quella di indagare le ragioni della rinuncia alla generatività come mancanza di orizzonte esistenziale. Perché se la nostra vita è tutta qui, quale senso ha spendersi per gli altri?
Sul tema dell’ambiente e sulla responsabilità della famiglia umana, i credenti hanno avuto una sveglia formidabile da Papa Francesco, ancora recentemente durante il Sinodo sull’Amazzonia. Ma ancora prima con l’enciclica Laudato si’ giustamente dedicata “alla cura della casa comune” che reca la data del 24 maggio 2015. Sono già trascorsi oltre quattro anni e il recentissimo fallimento del Cop25 di Madrid suscita allarme. Al punto da far scrivere all’Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede, che “la Conferenza di Madrid lascia un sapore amaro. Nessuna risposta concreta è arrivata dai governi, anche se l’emergenza climatica non consente ulteriori rinvii”. Dunque, un pressing che trova il proprio fondamento nei grandi interrogativi antropologici che percorrono l’intera enciclica, a cominciare dalla ricerca della “radice umana della crisi ecologica”.
L’affacciarsi della intelligenza artificiale (IA) nella vita di tutti i giorni (basti pensare ai settori industriale e sanitario) apre scenari di difficile comprensione sul nostro futuro. Nessuno deve spaventarsi per l’irruzione dei robot, ma sorgono mille domande su cosa ne sarà di noi e della nostra vita familiare, sociale e comunitaria. La consapevolezza che questo è il secolo dell’intelligenza artificiale, ci deve mettere tutti in posizione di attesa vigile e di governo responsabile perché la nostra umanità sappia trarne beneficio senza farsi schiava di nuovi modelli e gabbie comportamentali.
Infine lo strapotere sino ad ora incontrastato dei cosiddetti Big Data, cioè delle poche multinazionali che sfruttando la Rete hanno il dominio dei social e che, come ha denunciato Shoshana Zuboff nel suo formidabile “Il capitalismo della sorveglianza”, lucrano sui nostri desideri e costruiscono modelli previsionali venduti a caro prezzo, grazie ai quali accumulano ricchezze sterminate. Scrive la Zuboff: “L’esperienza umana è ormai materia prima gratuita che viene trasformata in dati comportamentali… e poi venduta come ‘prodotti di previsione’ in un nuovo mercato, quello dei cosiddetti ‘mercati comportamentali a termine’… dove operano imprese desiderose solo di conoscere il nostro comportamento futuro”. Noi tutti, uomini e donne, con ogni nostro clic sui social, regaliamo la nostra vita e costruiamo la ricchezza dei nuovi padroni del mondo. Noi non siamo i loro operai, ma la loro materia prima gratuita.
Tutto questo crediamo che sia sufficiente per affermare che il nostro tempo ripropone, in tutta la sua drammaticità, una nuova “questione antropologica”. In cui vita, famiglia e libertà di educazione hanno, comunque, un ruolo strategico. E possono trovare una diversa declinazione.