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Tre papi, una sola Chiesa e diverse politiche. Il convegno di Fondazione Magna Carta

A metà fra il convegno di studi e una testimonianza politica sulla realtà, si è svolto per la prima volta quest’anno ad Anagni un appuntamento classico della Fondazione Magna Carta, presieduta da Gaetano Quagliariello: gli incontri “A Cesare e a Dio”.

Rispetto al 2005, data della prima edizione, che si era svolta come le altre successive a Norcia, tante cose sono cambiate: non solo il clima culturale ma anche quello politico del Paese, come ha sottolineato Quagliariello nel suo intervento conclusivo. Ed anche la Chiesa cattolica, che in quel lontano 2005 vedeva l’ascesa al soglio pontificio di Joseph Ratzinger, oggi vive una stagione completamente diversa con il papato di Jorge Bergoglio.

In verità, proprio ai rapporti fra Chiesa e politica negli ultimi tre pontificati era dedicato il convegno anagnino, che si è aperto sabato pomeriggio con tre puntuali relazioni sui pontificati di Giovanni Paolo II (Eugenia Roccella), Benedetto XVI (Eugenio Capozzi) e Francesco (Sandro Magister). Ad essi hanno fatto seguito, fra sabato e domenica, gli interventi di una quarantina circa fra politici, studiosi e giornalisti: fra gli altri, Stefano Fassina, Fabrizio Cicchitto, Carlo Giovanardi, Maurizio Gasparri, il presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo, Marco Gervasoni, Vera Capperucci, Alessandro Rico, Salvatore Rebecchini.

I punti emersi dal dibattito sono stati ovviamente tanti e stimolanti. Prima di tutto, l’elemento che è venuto con forza fuori è che i tre Papi, in modalità e stili diversi, hanno cercato di rispondere a una situazione di crisi della Chiesa cattolica: a crisi contingenti e diverse, senza dubbio, ma anche a una crisi strutturale che ha coinciso con il compiersi nell’intero Occidente, nell’ampia società civile, del processo di secolarizzazione. Tre risposte diverse, corrispondenti a tre diverse anime della Chiesa: quella evangelica e profetica (Karol Woytila), quella dottrinaria o teologica (Joseph Ratzinger), l’altra pastorale e addirittura (è stato detto) “parrocchiale” (Jorge Mario Bergoglio).

Le tre diverse risposte sono state efficaci? Senza dubbio sì quella di Giovanni Paolo II, che ha ridato slancio alla Chiesa cattolica quasi illudendola di un ruolo riconquistato nella società. Per l’efficacia dell’azione ha funzionato sia la capacità politica del Pontefice, che ha accompagnato da leader il processo di dissoluzione dei regimi comunisti, sia la sua capacità di saper usare i mezzi di comunicazione di massa immettendo messaggi tradizionali nei circuiti più nuovi. Più introverso e legato a una riflessione identitaria sul cristianesimo e sul destino dell’Occidente è stato il pontificato di Benedetto XVI (che sin dal nome scelto ha voluto richiamare la tradizione del monaco che studia, accudisce, cura e trasmette, un patrimonio o una tradizione). La coerente linearità della sua azione si è manifestata in interventi, discorsi, atti, magistralmente ricostruiti da Capozzi nelle linee guida. Alla figura di Ratzinger si lega anche il periodo più incisivo della Fondazione Magna Carta, quando certe battaglie legate ai cosiddetti “valori indisponibili”, in primis quello della vita, sono state condotte anche in virtù del fatto, sottolineato da Quagliariello, che i politici che si ispiravano a una visione cristiana sentivano alle loro spalle forte la presenza della Chiesa.

Oggi questo non accade più anche perché il nuovo Papa non sembra interessato a vedere gli interessi della Chiesa troppo in un’ottica eurocentrica o occidentalistica. Su Bergoglio anche i relatori e i discussant di Anagni si sono divisi, come accade un po’ a tutti, all’interno e all’esterno della Chiesa. È un papa “rivoluzionario”, o addirittura “eretico”, oppure egli semplicemente tenta una via tutta sua per dialogare e farsi accettare dal mondo secolarizzato (fino ad accondiscendere le sue pretese)?

Qualcuno ha parlato del rischio di un neopaganesimo connesso alle dottrine di Bergoglio sulla natura e l’ambiente da preservare: come dimenticare che la nostra religione si fonda sull’eccezionalità dell’uomo e sul fatto che esso ha il dominio sul creato e sugli altri esseri? Affermare il contrario significa, in effetti, accettare il “naturalismo”? Altri relatori hanno però insistito sul fatto che questo Papa ha usato parole non meno dure di quelle dei predecessori sull’indisponibilità della vita e anche, recentemente, sull’invadenza della legislazione nelle vite private. Altri ancora hanno parlato di contraddizioni palesi, a volte presenti in uno stesso atto o discorso papale. E c’è stato ancora chi ha ridotto queste contraddizioni a una sorta di metodo coscientemente seguito: il pontefice è come se volesse lanciare sassi e “far partire processi” il cui esito egli non vuole determinare. Ma ci sarà un perché, si è chiesto Magister, in verità molto critico su Bergoglio, se sui mass media fanno notizia solo le posizioni “rivoluzionarie” del papa? Non è voluto anche questo? Magistrale l’intervento videoregistrato del cardinale Ruini, il quale ha individuato un solco, che un seguace dell’idealismo filosofico non può che far proprio, per continuare la battaglia cristiana contro il “naturalismo”, e quindi anche su quella “dittatura del relativismo” di cui ha parlato spesso il papa emerito. Perché non insistere, ha detto Ruini, sul fatto che le attività della mente umana, per quanti sforzi si faccia, non possono mai ridursi a quelle del cervello? E, aggiungerei, non per fatto, ma per principio (i filosofi parlano di intrascendibilità del pensiero). Molto presente è stato anche ad Anagni, ovviamente, il tema del rapporto stretto fra cristianesimo e liberalismo, due dottrine umanistiche e antiperfezionistiche (l’uomo per i cristiani è sì “figlio di Dio”, e quindi unico nell’universo, ma anche segnato dal “peccato originale”). Come dire? Due dottrine particolarmente atte ad evitare totalitarismi più o meno velati o soft, compresi quelli che il “nuovo mondo” sembra annunciarci (dalla “purezza” di chi vorrebbe imporci di vivere in simbiosi totale con la natura al transumanesimo).

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