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Partiti deboli, premier forte. Il commento di Arditti

È un Giuseppe Conte tonico più che mai quello che oggi ha concluso l’annata politica, mettendo a segno la sua più riuscita performance di sempre.

Un premier ormai padrone della scena e abile nel rapporto con la stampa, un uomo di governo capace di tenere nitido il suo profilo istituzionale senza per questo scansare gli aspetti politici più delicati, un professore (e quindi anche un tecnico) perfettamente a suo agio nel dialogare in punta di diritto.

Cerchiamo però di capire come si è prodotta questa situazione che oggi ha preso forma politica e, soprattutto, vediamo di coglierne segni e indicazioni per il futuro.

Cominciamo dai segni (o simboli), che in politica contano moltissimo. Quelli distintivi della conferenza stampa di oggi sono due e tutti nettamente a favore del premier.

Il primo è il ruolo marginale che ha avuto il leader della Lega e capo dell’opposizione tanto nelle riflessioni di Conte quanto nelle domande dei giornalisti, tanto è vero che è stato citato per la prima volta solo nella seconda ora dell’incontro.

Certo, lo scambio di battute polemiche (a distanza) fra i due farà comunque titolo per i giornali e per la Tv, ma non deve sfuggire a nessuno quanto Conte abbia oggi saputo dimostrare di essersi (almeno per ora) liberato dall’incubo Salvini.

Poi c’è la rapida soluzione del caso Fioramonti, con fulminea sostituzione del ministro dimissionario (scelta per molti versi surreale e politicamente insensata, di cui si faticano a cogliere le reali motivazioni), con addirittura la nascita di un nuovo incarico ministeriale (per inciso: lo sdoppiamento tra Scuola e Università & Ricerca ha senso, ma a condizione che resti tale per decenni e non per qualche mese).

Quindi Conte si dimostra padrone della situazione (aggiusta la squadra senza perdere tempo) e privo di “sudditanza” verso l’unico soggetto della politica italiana che raccoglie oltre il 30% di consensi (un pallido ricordo per il M5S).

Questi i segni dunque, che portano con sé due indicazioni essenziali (in realtà sarebbero più numerose) per l’immediato futuro.

La prima è molto semplice: il premier si sente nelle condizioni sufficienti per guardare al nuovo anno con più speranze che timori, addirittura osando riferimenti piuttosto impegnativi sul piano politico (portare a due i gradi di giudizio per la giustizia tributaria, ridurre la pressione fiscale attraverso una dura lotta all’evasione, mettere mano al divario nord/sud, sciogliere i nodi Ilva, Alitalia e concessioni autostradali e molto altro ancora).

La seconda indicazione è invece tutta politica ed è ben evidente dall’atteggiamento rilassato dello stesso Conte: il governo giallorosso gli calza a pennello come un abito di sartoria, assai più modellato su di lui di quanto non fosse l’alleanza gialloverde. E persino il passaggio da due a quattro dei partiti di governo sembra favorirlo, perché gli consente di giostrare con maggior fantasia senza essere costretto a convivere con lo spazio residuo (e scarso) che la coppia Di Maio-Salvini gli ha lasciato nel passato governo.

Infine ci sono le motivazioni che hanno creato questa situazione, motivazioni che verosimilmente finiscono per essere l’aspetto più rilevante di tutta questa storia. Anche qui sono due, equamente divise tra il “dentro” e il “fuori” del sistema politico.

Per il “dentro” va messo in evidenza il momento di grande debolezza di tutti i partiti singolarmente presi. Debole è il M5S, squassato da polemiche interne che bombardano la leadership di Di Maio dalla mattina alla sera.

Debole è Italia Viva, perché Renzi paga la fatiche di una scissione e la pressione giudiziaria.

Debole è, tutto sommato, anche l’opposizione, perché troppo isolata su scala internazionale per rappresentare (allo stato) una credibile alternativa di governo.

Infine debole è anche il Pd, che deve tifare per le Sardine in vista del duro scontro elettorale in Emilia Romagna.

Ebbene questa debolezza dei movimenti politici va tutta a vantaggio di Conte, in grado di mettere a frutto la sua (relativa) posizione di forza nel migliore dei modi.

Poi c’è un “fuori” tutt’altro che di poco conto. Riguarda tutte (o quasi) le massime burocrazie e tutti (o quasi) i soggetti indipendenti della Repubblica (magistratura compresa), che hanno in questo governo un interlocutore tutto sommato gradito. Lo stesso vale per l’Europa, che ha oggi nella triade Sassoli/Gentiloni/Gualtieri (e quindi anche Conte) un elemento di garanzia di primo livello. Poi ci sono gli americani, i cinesi, i russi (e via discorrendo).

Insomma il governo Conte 2 pare a suo agio nella precarietà in cui si trova ad agire ed oggi il premier ne ha dato prova. Fermo restando, onde evitare equivoci, che la tradizione italiana prevede una crisi di governo ogni 12-18 mesi.

Non sia mai che qualcuno si monti la testa (Conte compreso).

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