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Perché la Difesa europea rallenta. Frusone (M5S) commenta l’allarme dell’Eda

Suona il campanello d’allarme per la Difesa europea: ci sono pochi investimenti nello sviluppo di nuove capacità, pochissime risorse dedicate al campo della ricerca in tecnologie innovative, e un livello di collaborazione ancora troppo lontano dagli obiettivi. È l’avviso che arriva dalla European Defence Agency (Eda), l’agenzia intergovernativa impegnata a promuovere e gestire i progetti collaborativi tra i 27 Stati membri (tutti i membri dell’Unione europea tranne la Danimarca), che ha pubblicato oggi il report annuale sulle spese per la Difesa. I dati, ci ha spiegato Luca Frusone, presidente della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato, sono il sintomo di politiche estere e di difesa che rimangono troppo differenti tra gli Stati del Vecchio continente.

IL COMMENTO DI FRUSONE

“La difesa europea è un obiettivo lontano oggi come oggi – ha notato il deputato M5S – visto che i singoli Paesi pensano alla loro politica estera e a come avere un vantaggio a discapito degli altri Stati”. Spicca in tal senso l’atteggiamento transalpino secondo Frusone: “Emblematico il caso della Francia, dove il presidente Emmanuel Macron critica la Nato magari per spingere una difesa europea, però allo stesso tempo cerca di imporre delle prerogative francesi sulla questione libica a discapito proprio dell’Italia”. Eppure, ha aggiunto, “una vera difesa europea non può prescindere da una politica estera comune, e questa, per via di comportamenti dei singoli, pare ancora lontana da raggiungere”.

LE SPESE COMPLESSIVE

Lo dimostrano i numeri forniti dall’Eda. Nonostante il leggero incremento sull’anno scorso (+3% nel budget complessivo), ci sono infatti diversi nodi da sciogliere, a partire dalla “preoccupante caduta” sul procurement comune, come notato da Jorge Domecq, lo spagnolo al vertice dell’agenzia. Nel 2018, i 27 Stati dell’Eda hanno speso 223,4 miliardi di euro per la Difesa, pari all’1,4% del Pil complessivo e all’3,1% della spesa totale da parte di governi. È ancora poco se paragonato ai circa 630 impiegati dagli Stati Uniti, tra l’altro in grado di esprimere un maggior livello di integrazione senza duplicazioni di sistemi e assetti. Per il Vecchio Continente sono d’altra parte ancora lontani i livelli pre-crisi del 2007-2008, dopo i quali il settore è stato colpito da una riduzione degli investimenti maggiore rispetto al calo sofferto dai singoli Paesi a livello di Pil.

GLI INVESTIMENTI

A fronte di una spesa complessiva comunque in aumento, soffre il capitolo “investimenti”, cioè le risorse impiegate per lo sviluppo di nuove capacità. Gli Stati dell’Eda vi hanno dedicato 44,5 miliardi nel 2018, poco sotto la soglia del 20% della spesa complessiva che rappresenta il benchmark di riferimento. Fa il paio con il 2% del Pil, altro obiettivo che la Difesa europea ha ereditato dall’Alleanza Atlantica e che rappresenta (o dovrebbe rappresentare) un obiettivo per tutti i membri. Il livello espresso dai Paesi europei è “modesto” secondo l’agenzia, soprattutto se paragonato a quello dei maggiori player internazionali. La Cina dedica agli investimenti il 41% del proprio budget (circa 136 miliardi nel 2017), mentre gli Stati Uniti il 30%, ben 160 miliardi.

RICERCA E TECNOLOGIA

In questo contesto, l’avvertimento più forte dell’Eda riguarda la porzione degli investimenti dedicata a ricerca e tecnologia (R&T). “Sta recuperando lentamente i tagli alla spesa subiti nell’ultima decade”, si legge nel report. Dai 3 miliardi del 2006, si è passati all’1,6 del 2016. La salita resta lenta, considerando che nel 2018 il livello di investimenti in R&T ha raggiunto i 2,1 miliardi. Un mano in tal senso dovrebbe arrivare dalla nascente Difesa europea, a patto che i negoziati tra gli Stati membri dell’Ue confermino per il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 il livello di risorse proposto dalla Commissione. Bruxelles ha infatti previsto un Fondo europeo di Difesa da 13 miliardi, di cui 4,1 per la ricerca con possibilità di copertura fino al 100% da parte delle risorse comune (per la parte capacità, invece, la formula è del co-finanziamento). Eppure, nelle ultime settimane, i negoziati nel Consiglio dell’Ue hanno portato l’Edf a scendere a poco più di 6 miliardi. Se venisse confermato, si tratterebbe di una battuta d’arresto rispetto alle ambizioni della Difesa comune. Per questo il presidente dell’Europarlamento David Sassoli ha già promesso battaglia.

LA COLLABORAZIONE CHE MANCA

Gli avvertimenti dell’Eda però non si fermano qui. La questione più complessa riguarda le risorse destinate ai progetti comuni di procurement, ancora troppo basse secondo l’agenzia guidata da Domecq. Nel 2018 sono state di 6,4 miliardi, pari al 17,8% delle risorse impiegate complessivamente per l’acquisto di equipaggiamenti militari. Il target fissato dall’Eda è al 35%, lo stesso definito dal framework della cooperazione strutturata permanente (la Pesco), uno degli strumenti con cui l’Unione europea ha rilanciato da qualche anno l’integrazione nel campo della Difesa. A preoccupare l’agenzia è l’andamento altalenante di tale valore. Nel 2011 ammontava al 24%, per poi scendere al 15% due anni dopo e vedere una lenta risalita negli anni a seguire. Il messaggio non è certo incoraggiante per la Difesa europea, poiché sembra indicare la predilezione di soluzioni nazionali (o di collaborazione con Paesi extra-europei) da parte degli Stati membri. Che ci fosse qualche problema in tal senso lo dimostrano i due progetti paralleli sul caccia di sesta generazione: il Tempest britannico, a cui ha aderito anche l’Italia, e l’Fcas franco-tedesco.

IL MESSAGGIO DI MATTARELLA

Nel frattempo, un appello in favore dell’unità per la Difesa europea è arrivato dal Quirinale, dove Sergio Mattarella ha ricevuto gli auguri di Natale e Capodanno da parte del corpo diplomatico. “I cittadini europei hanno il diritto di essere difesi e non travolti da eventi rispetto ai quali i singoli Paesi non potrebbero esercitare nessuna influenza significativa, a partire dai temi della sicurezza”, ha spiegato il capo dello Stato. Su questo, ha aggiunto, serve “un salto di qualità”, anche in vista della Conferenza sul futuro dell’Europa attesa per il prossimo anno. Resta la necessità di un processo che corra in parallelo alla Nato. Il Vecchio continente, ha detto Mattarella, dovrà profondere sforzi “in modo complementare con l’Alleanza Atlantica che da settant’anni rimane garanzia di pace e libertà”.

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