La letterina è arrivata a Giuseppe Conte proprio la sera del 25 dicembre, ma non era Babbo Natale a scrivere. Nel momento meno atteso, era Lorenzo Fioramonti che rassegnava le sue dimissioni da titolare del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica. Anche se queste dimissioni erano state annunciate già a novembre dal ministro, che aveva legato la sua permanenza a Viale Trastevere allo stanziamento in manovra di tre miliardi (due per la scuola e uno per l’Università), pur non essendo ciò avvenuto, nessuno si aspettava ormai più la messa in atto del proposito.
Sia perché in Italia le dimissioni si annunciano ma non si danno (e servono in sostanza solo per avallare simbolicamente o supportare performativamente le proprie richieste), sia perché miracolosamente il governo era riuscito a chiudere la legge di bilancio bypassando tutte le innumerevoli difficoltà che si erano poste sul suo cammino. Lo stesso ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri aveva cantato vittoria concedendo la vigilia di Natale una lunga intervista di ispirazione vetero-statalista a Repubblica.
L’ex parlamentare europeo aveva parlato della scuola e dell’università come “settori fondamentali”, impegnandosi “per la prossima manovra” a “rafforzare gli interventi in questo comparto”. Il che è più o meno ciò che si dice da sempre, ogni anno rinviando all’anno successivo quanto non si ha avuto il coraggio di fare in quello in corso.
Fioramonti, che pure a giudizio personale di chi scrive ha le idee molto confuse (e spesso deleterie) sul tipo di istruzione da incentivare in futuro, ha però avuto il coraggio di rompere, con il suo gesto, questo “circolo vizioso”, mettendo in seria difficoltà il governo e la retorica che si veniva costruendo sulla bontà delle legge di bilancio licenziata. L’ormai ex ministro si è anche chiesto per quale motivo le risorse che si trovano sempre per altri settori, non si trovino mai per questo che pure è vitale e da cui dipende il destino del nostro Paese.
Domanda retorica, la cui risposta fotografa perfettamente la crisi italiana: si fa tanto parlare di futuro, ma alla fine non si riesce ad andare oltre una gestione dell’esistente fatto di “regalini” a lobby o corporazioni varie. E ciò indipendentemente dal colore della maggioranza al governo. Sulla decisione di Fioramonti stanno già cominciando a sorgere dietrologie più o meno attendibili: da chi le riconduce alla decisione di formare un ennesimo gruppetto parlamentare in vista di posizionamenti futuri, a chi tira fuori come vera causa delle dimissioni i suoi mancati versamenti al Movimento Cinque Stelle e all’Associazione Rousseau.
Comunque sia, il suo gesto assume un carattere dirompente perché corrisponde a una sorta di “operazione verità”: il governo nato per volare alto in verità non fa che tirare a campare. L’unico proposito visibile è quello di arrivare, vivacchiando, alla data dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, cruciale per i nuovi equilibri politici ed istituzionali. Con il rischio di vincere la battaglia, ma di perdere definitivamente la guerra con una società sempre più rassegnata ed esausta.